Il buono di avere
dei clienti (a parte il fatto di viverci, grazie a loro), è che ti forza a
riflettere, a restare in tiro sui concetti e ad allenarti per trasmetterli con
chiarezza.
Così quando, una
mattina come tante, ti arriva tra capo e collo un’osservazione come questa:
come fosse la cosa
più scontata del mondo, tu, il destinatario di quell’osservazione, vieni
chiamato in causa. Potresti far finta di non aver sentito, potresti
improvvisamente deviare il discorso sulle bizzarrie del tempo; ma invece resti
lì: non puoi lasciar correre, non puoi non intervenire.
I controlli sono un “waste”, dice il cliente. Sento che ha bisogno di una conferma, o che desidera un
confronto. Sono pronta. Quindi chiedo delucidazioni.
- Ogni controllo è
uno spreco di tempo, un costo – mi viene precisato - e se si devono eliminare
gli sprechi, si devono eliminare anche i controlli
Per come è posta
la questione, l’idea dell’eliminazione dei controlli è svincolata da ogni altra
valutazione. Pericoloso.
- A cosa servono,
secondo lei, i controlli? - rimando
- A intercettare il
materiale “che non va bene”
- Ritiene che
intercettare il materiale ”che non va bene” sia utile?
- Sì. Ci evitiamo
problemi grossi con i clienti.
Primo punto a mio
favore. Primo paletto fissato, ribadito, chiarito. I controlli e la loro
utilità sono stati ricondivisi.
- Però a volte,
purtroppo – riprende il cliente - dobbiamo fare i salti mortali per consegnare
in tempo.
- E se eliminasse i
suoi controlli?
- Certamente
consegnerei in tempo. Più di frequente, volevo dire, sarei in grado di
consegnare in tempo
- Magari
consegnerebbe materiale “che non va bene”
- Certamente sì. Qualche
volta, però. Non sempre.
- Varrebbe la pena
di rischiare?
Pausa
- Forse no. No,
credo di no.
Secondo punto a
mio favore. Rischiare di consegnare materiale “che non va bene” non piace al mio
cliente. Non per nulla, è una buona Azienda.
- Quindi non posso
eliminare i controlli? – chiede – Allora non è vero che sono un “waste”;
oppure, sono un “waste” necessario
- Può eliminarli,
come no; ma una volta che li ha resi non necessari
- E come faccio a
renderli non necessari?
- Qui sta il punto. Anzi, il punto sta ancora prima: che cos'è un "controllo"?
Nella ‘mass production’, il modello industriale
occidentale che a lungo abbiamo seguito, di derivazione Fordista, e che adesso si confronta con il
modello orientale del TPS (o della translitterata Lean), il “controllo” è un’azione a consuntivo.
E’ legato al concetto di ‘batch &
queue’, ovvero ‘lotti e code’,
che deriva dall’idea di massimizzare
l’uso delle macchine producendo grandi lotti; ognuno dei quali, una volta
prodotto, sarà appunto “controllato”, attività tramite la quale si discriminerà
ciò che è “buono” da ciò che non lo è. In questa ottica, il modello orientale
TPS o Lean considera il controllo è uno “spreco”: perchè interviene a cose fatte. A babbo morto. Quando i
buoi sono scappati. Buoi ai quali peraltro, per trasformali da teneri vitellini
a bestioni potenti, abbiamo aggiunto già valore.
- Se le cose stanno
così – interviene il cliente, persona con la testa sulle spalle – io quel
“waste” lì dei controlli non sono in grado di eliminarlo. Per poter non
controllare, dovrei essere sicuro a prescindere che il materiale “va bene”
- Diciamo che
dovrebbe esserne “statisticamente” sicuro. Preventivamente sicuro
Ci siamo arrivati:
la prevenzione è la chiave. Il dominio e governo del processo (cioè dei suoi ‘fattori’)
e l’implementazione di sistemi a prova di errore (vedi Poka Yoke), sono le logiche grazie alle quali otteniamo la
ragionevole certezza che l’output è conforme. Non si tratta di qualcosa di
automatico: è necessario impegno affinchè si arrivi a questo grado di fiducia.
Sono necessarie attività sistematiche e continue, applicate e sostenute.
Il miglioramento continuo è la chiave.
Che spinge sulla performance e include la puntuale, immediata risoluzione
nel caso si verifichino nuovi problemi. Perché qui sta un altro punto
importante: il fatto che ogni problema
deve essere risolto alla radice, e deve costituire base di apprendimento
affinchè non si verifichi mai più. Se facciamo questo con sistematicità, la
probabilità che nuovi problemi si verifichino diminuisce, come diminuisce la
loro gravità ed estensione nel tempo.
- Quindi – il
cliente tira le fila del discorso – per eliminare il “waste” del controllo,
avrei da lavorare. Eliminerei un costo, ma per arrivare a farlo dovrei farmi
carico di altri costi. Chissà, magari maggiori.
- E’ una questione
di capire come vuol spendere i suoi soldi,
se vogliamo. Mettiamo che stanzia per la qualità una somma "X". Una cosa è utilizzarla per investire
in una futura riduzione di problemi, agendo sulla prevenzione e sul miglioramento continuo, e un’altra
cosa è considerare lo stanziamento "X" una tassa ‘fissa’ da cui non si può prescindere.
Nel primo caso, investe in qualità: nel tempo, man mano che i processi
migliorano, lo stanziamento diminuirà e le performance qualitative invece aumenteranno.Nel ciclo virtuoso, arriverà ad eliminare i "controlli". O almeno, a minimizzarli
- Nel secondo –
continua il cliente – non ho neppure la certezza che la tassa sia ‘fissa’, mi
pare. Mi dica se sbaglio. Se non faccio niente perchè i problemi qualità diminuiscano, chi lo sa di
quanti controlli avrò bisogno tra un anno o due. Magari le cose peggioreranno,
e dovrò intensificarli. Mettendo mano al portafoglio in modo più pesante.
- Esatto. Non sbaglia.
Il buono di avere
dei clienti (a parte il fatto di viverci, grazie a loro), è che capita di parlare con
persone intelligenti. Che hanno a cuore la salute della loro azienda e
la sua prosperità, oltre alla pesantezza del loro portafoglio. Che capiscono al volo. Con clienti come questi , al di là di tutto, è un piacere lavorare.
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