sabato 3 ottobre 2015

IL LAVORO RITROVATO



Qualche giorno fa,in libreria,intercetto "Il lavoro ritrovato".
Lo apro e scopro che mi ero sbagliata. Avevo supposto male. Ritrovato, non da chi perde il lavoro,ma da chi viene licenziato per "giusta causa".
"Giusta" causa: nulla va dato per scontato, mai.


Copio dall'anticipo messo gratuitamente a disposizione sul sito dell'autore (http://www.pietroichino.it/?p=35841) il caso che più di tutti mi è balzato agli occhi: quello dell'infermiere violento.

"Non si deve licenziare l’infermiere che getta a terra e prende a calci un paziente
È un caso di cui si sono occupati i giudici romani. La causa riguardava l’infermiere professionale di un reparto psichiatrico che, dopo avere spinto a terra un paziente affetto da gravissima insufficienza mentale, aveva preso a colpirlo ripetutamente con calci al torace e allo stomaco; a una collega che lo aveva invitato a fermarsi aveva risposto di non averne alcuna intenzione. Questi fatti, addotti a motivazione del licenziamento, erano pacifici in causa: nessun dubbio che l’infermiere avesse tenuto questo comportamento. Ma il giudice ha annullato il provvedimento disciplinare. Perché, come si legge nella motivazione della sentenza del Tribunale di Roma 19 ottobre 2001,
“si è trattato di un fatto isolato ed eccezionale in relazione ad un paziente particolare, che non integra alla luce delle circostanze del caso concreto neanche gli estremi del notevole inadempimento […] l’aver perso per una volta il controllo delle proprie azioni […] non può giustificare quella che rimane una extrema ratio […]”.

Allora, qui si parla di qualcuno che, essendo stato licenziato per il fatto sopra descritto, impugna la cosa e va in tribunale. E vince la causa. E si prende un sacco di soldi, anche.

Io dico quanto segue:
  • perdere il controllo una volta è una cosa che può capitare. Penso a me stessa: se mi capitasse, cosa farei? Forse rovescerei una scrivania - non so, ipotizzo - mi metterei a urlare in modo che mi sentirebbero a 100 Km di distanza. Ma non credo che metterei le mani addosso a qualcuno (a parte che non sono Maciste). Massimamente se quel qualcuno fosse un paziente affetto da una gravissima insufficienza mentale.
  • io di mestiere faccio l'ingegnere-consulente; non faccio l'infermiere e non lavoro in un reparto psichiatrico. Per quanto anche le mie giornate non siano affatto rose e fiori, certamente lo lo sono molto più di quelle di chi è costretto a confrontarsi ogni giorno con la sofferenza psichica. So che lo spirito di sopravvivenza porta, nel tempo, gli addetti a una forma di "assuefazione" e distacco (ho in casa 2 medici, padre e fratello), ma forse certe volte una valvola può saltare anche agli "assuefatti" e distaccati. Il punto è che cosa si fa quando salta la valvola, e si perde il controllo. Non ci sono scrivanie da rovesciare, o tavoli, nei reparti psichiatrici?
  • con che coscienza si affidano pazienti psichiatrici a chi si è già dimostrato violento una volta? I pazienti psichiatrici sono deboli, delicati, ci vuole tutta la comprensione e la professionalità del mondo per gestirli. Come dovrebbe comportarsi un ospedale, in un caso del genere? Immagino varie soluzioni. La migliore, dal punto di vista politico: assegnare l'infermiere ad altro reparto, non sia mai che il caso in oggetto si dimostri tutt'altro che isolato. La peggiore, in realtà, considerando la faccenda nel complesso: un bel trasferimento in area meno problematica, una sorta di premio.
La vicenda, almeno per me, è di quelle scioccanti, che toccano la sensibilità e il cuore delle persone. Può fare notizia alla grande, se data in pasto ai mass media (strano che non sia stato fatto, piuttosto; o forse me la sono persa io). Va detto che il licenziamento di cui sopra risale a tempi in cui la parola stessa - licenziamento - era al limite del desueto; oggi, con il fiume delle persone che giornalmente viene espulso dalle Organizzazioni, magari in gambissima, e senz'altro a dispetto dei numeri sulla ripresa che circolano nei suddetti mass-media, la notizia ancora di più colpisce e stranisce.

Ma vorrei restare sul lato umano della questione, abbandonando quello lavorativo. Comunque sia andata, se fossi stata la mamma o moglie o sorella del paziente colpito, giudici o non giudici, avrei chiesto giustizia. Avrei fatto causa, organizzato un sit-in come ai vecchi tempi delle rivolte studentesche, non so: qualcosa.
Visto che di questa circostanza mi sono persa il lato mediatico (se c'è stato), non escludo che le suddette persone lo abbiano fatto a chiara voce.
 Il pensiero mi consola: loro, e il paziente, hanno tutta la mia solidarietà.