domenica 24 novembre 2013

Io guido da sola (a parte il cavallo)

Per il mondo dell'auto il momento è bigio. Il trend negativo del settore è condizionato dalla crisi: finchè non ne usciamo è magra.
Ma non per questo gli addetti ai lavori restano a guardare. Qualcosa bolle in pentola, è un fatto. Senza che quasi ce ne accorgiamo.

Ed è sempre lui, lo zeitgeist, lo spirito del tempo. Che lavora da dentro, manifestandosi quando il lavoro è pronto, quando la crosta mantenutasi ben integra fino a quel momento ha da squarciarsi. Cosi', mentre andiamo avanti con la routine carburante-telepass-sgommata, ciò che noi ci aspettiamo da un'auto va cambiando. Ciò che vorremmo facesse. Il nostro ruolo nell'interazione con lei.
E bisogna farsene una ragione.

La funzione-core dell'auto è legata alla nostra necessità di essere mobili. L'auto deve trasportarci da un punto A a un punto B geograficamente distinti (su terraferma); velocemente, ed evitandoci la fatica fisica. Dobbiamo poterlo fare non appena ce n'è bisogno.
Ma la mia esperienza personale da guidatrice seriale mi porta ad affermare che l'auto assolve anche ad altre funzioni niente affatto peregrine. Soddisfa il nostro bisogno di libertà e divertimento, per esempio. Oppure ci facilita nella sperimentazione della nostra leadership, spingendoci a gare non necessarie nei rettilinei autostradali, a rombare minacciosi i motori al semaforo, a sfanalare a palla a chi civilmente aspetta in coda.
Un tempo queste stesse funzioni venivano svolte dal cavallo, con il quale le analogie che restano sono molte, a partire dalla necessità di riempirgli la pancia con un nutrimento che conferisca energia. Non a caso l'auto ha quattro ruote, come quattro sono le zampe del fiero animale simbolo di potenza ed eleganza. E se eccepite che la moto ancor più cavallo è, essendone riprova gli stessi motociclisti, comunemente chiamati centauri, non so darvi torto, dall'alto del mio scooter performante, con tanto di bande tricolori. Ma anche l'auto è cavallo, non c'è dubbio. Seppure meno snello, più comodo e di tipo cavo (si guida dal di dentro, non da sopra). E come per l'amazzone è vitale non essere in balìa del cavallo, ma dominarlo, così per il guidatore il controllo dell'auto è importante. Ai fini della propria incolumità, ma anche ai fini del piacere della guida  e della conferma della propria destrezza.
Di questo ho esperienza diretta; di questo sono convinta, con validità generale .

E qui sta il punto. Dovrei dire: ero convinta.
Perchè lo zeitgeist lavora da dentro, e mentre noi ci culliamo sulle nostre convinzioni, zitto zitto ridipinge lo scenario. E quindi, scusatemi: mi sbagliavo (va bene così?).
Altro non posso dire, se faccio mente locale all'auto che si guida da sola. Sono stati i tecnici Mercedes Benz a darle vita (ma anche altri, zitti zitti, ci stavano lavorando).
L'occasione per mostrarcela, bell'e pronta, è stata la commemorazione di un 125° anniversario: quello del debutto in società dell'auto, per come adesso la conosciamo ed utilizziamo.
Era il 1888 quando Bertha Benz percorse la bellezza di 106 Km con una Patent-Motorwagen modello III progettata da Karl, il marito, andandosene da Mannheim a Pforzheim. Donna non da poco, Bertha, che coinvolse anche i due figli nello storico, rischioso viaggio, il primo - lungo - effettuato in auto,a comprovare che la si poteva considerare un mezzo di trasporto affidabile (quello che è oggi).
Lo scorso Agosto, la Mercedes Benz ha ripetuto lo storico viaggio,mutuandone le caratteristiche di battesimo del fuoco. Infatti, l'auto utilizzata si guida da sola, e da sola ha guidato per l'intero tragitto, con una sorta di pilota automatico. Si tratta di una versione upgrade della Classe S 500, ancora sperimentale, dotata di IntelligentDrive, ovvero di sensori e telecamere (occhi) in grado di apprezzare ogni movimento ed ostacolo intorno, e di reagire di conseguenza. Il viaggio si è svolto ignorando l'autostrada, su vie normali, con incroci, semafori, rotonde: ostacoli al fluido fluire, insomma. Affinchè il test fosse massimamente significativo.
Le tecnologie già ci sono. La strada è spianata. Ma il debutto commerciale è ancora vago: si parla del 2018 orientativamente, in dipendenza di fattori vari fra cui la concorrenza e l'interesse del mercato.

Mi sono interrogata sul senso e sulle ragioni di questa nuova concezione del rapporto uomo-auto. Per quanto ho abbondantemente descritto sopra, io che non riesco a digerire il cambio automatico e resto attaccata mani e piedi a quello manuale, non avrei mai pensato che questa potesse diventare una direzione di interesse. Ma mi sbagliavo. Il senso e la ragione evidentemente risiedono nel bisogno di sicurezza da parte dell'utente stradale. Bisogno che e' preponderante, e soppianta quelli sopra descritti.
In fondo, un'auto che si guida da sola somiglia a una specie di autobus che non fa fermate intermedie, e che non ha un autista in carne ed ossa. Un autobus di cui sei tu a stabilire gli orari, la fermata di partenza e quella di destinazione come meglio ti piace. Tu sali sopra, e poi fai i fatti tuoi fino a destinazione: leggi, lavori, telefoni, dormi, mangi e quant'altro. L'auto fa tutta la fatica per te (parcheggio incluso).
Di un'ovvia, travolgente comodità.

Quindi, tutto chiaro. Capitolo chiuso? No. Lo zeitgeist è sottocrosta ormai, sta lavorando sull'ultimo velo di spessore. Vuole un'eruzione da primato (si salvi chi può).
Altro non posso dire, se faccio mente locale a quel che la Toyota ha annunciato presenterà in anteprima mondiale al motor Show di Tokio (che inizierà a giorni).
Il nuovo FV2 Concept car: un veicolo monoposto addirittura senza volante, a metà tra auto e moto, per il quale il richiamo al cavallo è esplicito.
 
Le ruote, ancora una volta, sono quattro, come le zampe. E del volante non c'è bisogno perchè la guida è consentita grazie al movimento del corpo: spostando il proprio peso da una parte all'altra, infatti, il guidatore indicherà al mezzo la direzione da seguire. Ma non basta. Il FV2 Concept è dotato di sofisticati, futuribili sistemi di riconoscimento vocale e facciale in grado di catturare lo stato emotivo del guidatore, raccogliere dati sul suo umore e reazioni, e indurre il veicolo a comportamenti conseguenti: a tutti gli effetti, un accurato e sensibile co-pilota, che peraltro si perfeziona con l'uso e con il tempo, aderendo sempre più alla personalità di chi lo cavalca.
Non è questo un veicolo nato dal gioco di una serata bizzarra, o da una birra di troppo davanti al pachinko. Si colloca infatti all'interno del Toyota Heart Project, e rientra nella filosofia 'fun to drive'; un progetto cui la nota Casa crede profondamente, con cui intende contribuire al ridisegno del concetto di automobile, e che costituisce la traccia della sua strategia a lungo termine. L'intenzione è quella di trovare soluzioni per un oggetto e un mercato che affrontano oggi una crisi senza precedenti, e che entro i prossimi 25 anni (come sostiene l'autorevole società IHS Automotive) dovranno conformarsi alla necessità di un ambiente pulito, essere poco ingombranti, non ingolfare più i centri urbani, e costare poco.

A questo punto, pero', io mi fermo e rifletto. Perchè qualcosa non torna. Se pensiamo all'auto che si guida da sola e poi al FV2 Concept, la contraddizione stride. Ma scusate, da un lato si toglie del tutto al guidatore la possibilità di ogni interazione con il veicolo, che opera in completa autonomia e in modo asettico, e dall'altro addirittura si fondono guidatore e veicolo, affinchè il controllo sia esercitato in modo corporeo, viscerale, continuo?
Sembra che lo zeitgeist si sia fatto una birra di troppo, davanti a quel pachinko.
Eppure non e' cosi'. Per me (apro le porte al vento della fantasia) una spiegazione c'e'. Che comporta l'introduzione dei concetti di mobilità per dovere e mobilità per piacere.

Molti di coloro che intasano le strade e autostrade guidano per dovere. Se ne vanno in giro per lavoro o per necessità. Si scapicollano, sgomitano di continuo per farsi strada in mezzo agli altri. Per arrivar presto, per sfogare rabbia-tensione-concentrazione, perchè il pedale quando è giù, giù deve restare (e che cavolo). Perche' queste persone continuano ad intasare le strade? Perche' non esistono - a loro giudizio - mezzi di trasporto equivalenti all'auto. Ed hanno ragione: i treni portano da stazione a stazione, non per esempio nei punti decentrati in cui le Aziende hanno il vizio di cacciare le proprie attivita' produttive; per gli aerei e' pure peggio, per non parlare di filobus e corriere. Impensabile far a meno dell'auto. Questi signori, sono tipi da auto che si guida da sola. Spingendo il bottone giusto si tolgono da ogni impiccio. Respirano.

Ma poi resta la necessità della guida per piacere, e allora il discorso cambia totalmente. A questo la Toyota sicuramente pensa, con la sua filosofia 'drive for fun'. E a guidatori per piacere sono destinati i suoi avveniristici prodotti, creati con l'esplicita intenzione di deliziarli. Veloci guizzare da un punto all'altro dell'orizzonte, godendosi la sensazione della propria potenza e libertà: questo, è guidare per piacere. Si impone piuttosto la riflessione sul modo in cui costoro potranno esercitare il loro diritto al divertimento. Su piste e circuiti dedicati, come no; ma anche nelle strade usuali, che diventeranno sempre più sicure grazie all'impiego dell'auto che si guida da sola, e anche alle iniziative in favore della sicurezza che da più parti si stanno intraprendendo (vedi per esempio il progetto di ricerca europeo 2BESAFE, cui partecipano Aziende, Enti e Università - in prima linea quella di Firenze).
Per chi vuole, il piacere della guida deve restare.
E resterà. Questa è la mia opinione.
Parola di lupetto.

sabato 9 novembre 2013

Spegnere, come una sigaretta ..


Di questi giorni, la notizia che a fine mese l'altoforno di Piombino, dove io ho lavorato per 5 bloody years, verrà spento. Una di quelle cose che ti buca il fegato, anche per motivi affettivi .
Il presidente della Regione Toscana è volato dalle alte sfere europee per vedere se riescono a riconvertirlo, e i 1500 lavoratori possono sperare.

Oggi è così. Molto più di ieri, le cose cambiano, mutano, si trasformano, si sconvolgono. Realtà vive da decenni, che costituiscono l'ossatura di un'intera cultura, si spazzano via con poche ramazzate.
Serve, nel caso di Piombino, ricordare l'illustrissimo passato etrusco da cui la siderurgia ha preso le mosse? O sottolineare che Ilva era il nome latino dell'Isola D'Elba (proprio lì davanti), prima di diventare quello della grande azienda siderurgica a partecipazione statale che abbracciava tutta la Penisola, da Aosta a Taranto, passando per esempio da Bagnoli e Terni (oltre che per Piombino)?
Dal punto di vista pratico, no. Quel passato ormai si avvia a diventare remoto (se remoto non è già).
Alla faccia di chi ha impostato una vita al ritmo della turnazione continua - primo, secondo e notte, senza sabati e domeniche, senza feste.

L'unico dato certo è che le aziende sono mirate al profitto(*). Possono essere più o meno illuminate, ma questo è. E in questa logica, chiudono, aprono, comprano, abbandonano. Anche le migliori, le più sane, le più avvedute. Anche le best in class per metodologie, scrupolo, tecnologia, Lean, DFSS e Six Sigma e APQP e chi più ne ha più ne metta; che se fai un giro nel loro gemba neppure uno spillo fuori posto ci trovi, e magari ai dipendenti offrono pure un bel cappuccino con la timbratura (caffè qualità arabica).
Comunque sia, il cappuccino tocca a chi resta dentro (se qualcuno vi resta, e non si sbaracca tutto). A chi sta fuori, niente.

In un certo senso, nulla di male. Oppure no, fa male. Decidete voi. Ma in ogni caso, bisogna tenerlo a mente, bene in mente.
Il modo di fare lavoro è cambiato, sta cambiando, cambierà ancora. Verso quale direzione? Mah. Ognuno ha la propria visione (la sottoscritta non fa eccezione), molte collimano; certezze comunque non ce ne sono.

Continuo a pensare alla sostenibilità, e alle difficoltà enormi in merito nel caso di un'acciaieria, che è lavorazione intrinsecamente complessa - senza sparare sentenze o attaccarsi (sarebbe facile) al caso lampante di Taranto. Siamo tra le lavorazioni di base, ad alta complessità e basso valore aggiunto; cose che conviene far fare altrove, dove almeno i costi sono inferiori, e la complessità è gestita grazie a leggi e sensibilità sociale meno vincolanti. Guardando avanti, non so che futuro avrà il materiale acciaio nell'impiego industriale o in quello per oggetti; non so se e da cosa verrà sostituito, o se gli oggetti cambieranno in modo da non richiederne più (**). Però questo dico: spostare altrove, o lasciare che altrove si ponga il problema della sostenibilità, mi pare azione ben miope. Come se altrove le persone non avessero, di fatto, i nostri stessi diritti.
In primis quello alla salute, e al lavoro.
Non so che altro dire.

(*) Non tiro in ballo le realtà no-profit: non ne so abbastanza. 

(**) Nel settore dell'auto, l'acciaio è stato progressivamente sostituito da altri materiali di maggiore leggerezza e versatilità (Alluminio, plastica - per citare i più evidenti); le biciclette performanti sfoggiano leghe in Titanio ed altre diavolerie. Questi sono i primi esempi che mi vengono in mente. Ma l'innovazione continua a puntare su materiali nuovi, e su nuovi modi di ottenere le 'caratteristiche' necessarie alla 'funzionalità' dell'impiego (processi più economici, meno invasivi). Chissà cosa ci aspetta, dietro l'angolo; quali piccole o grandi rivoluzioni.