sabato 21 settembre 2013

Farete (Fa-rete)

Non è un gioco di parole, e di questi tempi, figuriamoci se avevamo bisogno di indovinelli.Quello di cui abbiamo bisogno è di esempi concreti, buoni.
Come Farete.

Farete è il nome dato a una fiera che si è tenuta il 16 e 17 Settembre a Bologna, zona CAAB. Una vetrina per aziende per lo più locali (qualcuna però no) che si sono incontrate de visu, di persona, con l'intento di passare dalla mail alla stretta di mano (questo è il sottotitolo dell'evento).
Incontri e strette di mano tra aziende, tra aziende e visitatori, tra visitatori.

Io sono andata, avevo un appuntamento. E a parte l'appuntamento in sè, che è stato costruttivo, ho avuto occasione di guardarmi intorno, osservare e interagire. Appunto: costruttivamente.

Mi ha colpito la presenza di alcune reti di imprese strutturate ed ufficiali; i referenti: persone determinate, ben disposte,gentili. Idee ed esperienze davvero interessanti. Che mi stanno scrollando di dosso quel po' di diffidente cautela che avevo in merito. Un qualcosa del tutto mio, d'altra parte, di cui mi riconosco ogni responsabilità; dovuto alla mancanza di conoscenza diretta.

Ho conosciuto l'AD di un'Azienda meccanica, fiero della propria realtà, e a ragione, visto che, a dispetto dei luoghi comuni e di tanti casi reali, pur essendo piccola gode di ottima salute. L'AD è intervenuto di persona alla fiera, a rappresentare la propria creatura: fatto non consueto. E' stato molto interessante confrontarsi con lui: la conferma che i clienti giusti sono un asset strategico (anche se di conferma non c'era bisogno, lo so), e che purtroppo i fatturati ultimamente si fanno per lo più con chi esporta. Niente di nuovo, è vero: ma un'azienda che lavora su tre turni non si incontra di frequente (adesso). Ottimo segnale, un auspicio.

Ho assaggiato qualche tortellone dalle aziende di ristorazione presenti (erano pure buoni!) e ho visto moto di pregio ai propri stand (dulcis in fundo: veniva voglia di saltarci su e sgommare via).

Mi dico: questo è un esempio concreto,buono. Ed avrà per forza un seguito.

sabato 14 settembre 2013

Io, l'Italia e la Lean

Storia di lunga data, la nostra. In Italia io ci sono nata, la Lean no. Ma il mio contatto con lei è in qualche modo antico.
Ho in mano alcuni testi sacri che possiedo da lunga data (1991): 'Kaizen' di Masaaki Imai, e 'La macchina che ha cambiato il mondo' di Womack, Jones, Roos. E anche, sorprendentemente, 'TMM-Total Manufacturing Management' di Giorgio Merli (ed.1987, italianissimo). A distanza di così tanti anni, mi stupisco rileggendoli; ma non dovrei. Ne entrai in possesso quando ero troppo giovane, e troppo fuori contesto, per capirli o apprezzarli. Già, perchè contengono intera la summa del pensiero Giapponese, ideato o iniziato da Taiichi Ohno; ed è tutto quanto c'è da sapere, tecnicismi a parte. Noto che la prefazione della Macchina è a cura di Giovanni Agnelli, mentre quella del Kaizen è di Alberto Galgano; quella del TMM è di Ryuji Fukjuda della Japan Management Association.
E rifletto.
L'Azienda in cui al momento lavoravo aveva deciso di mettere in atto progetti Kaizen e io, come alcuni altri, ero stata scelta per contribuire al cambiamento. Probabilmente le vacche erano grasse, e complice l'esposizione prolungata alla cultura giapponese (dovuta a un progetto di interscambio cultural- industriale concluso con successo**) , un'onda entusiastica aveva investito il Management spingendolo ad osare oltre il nido delle aquile. Operativamente, avevano dedicato un giovane ingegnere (come me), detto Kaizen lui stesso, a seguire e garantire il processo. Che si dava da fare. Ricordo un gran raccogliere dati, e un gran analizzare. Ricordo meno quali furono i risultati di tutto quel gran lavoro; ma probabilmente è la memoria che mi fa difetto. Scusatemi.

Se tralascio tutte le efferatezze che ho visto compiere nel tempo ai danni della Qualità Automotive (le cui basi sono lì, di matrice giapponese), nonchè il convergere silente dell'organizzazione della produzione verso logiche Lean (es.implementazione celle), posso dire che l'esperienza con il Kaizen/Lean di cui sopra è restato per me un fatto isolato fino alla seconda metà degli anni '00 del 2000. Quando ho avuto la ventura (la fortuna) di entrarvi a stretto contatto.
L'Azienda per la quale lavoravo era straniera, decise un programma a tutto tondo in cui anche i Plant italiani erano coinvolti. L'input veniva dalla casa madre, no way to escape, e visto che ci eri dentro fino al collo, conveniva vedere di trovarci il lato positivo, che a ben guardare, c'era eccome.
Credo che in quel periodo,come nel mio caso, la maggior parte delle Aziende italiane che iniziarono ad applicare le Lean appartenessero a Gruppi stranieri. In Italia, ancora di Lean si parlava poco. A parte il Gruppo Fiat-Chrysler, che riprese il WCM e lo fece proprio, riguardo il quale  ricordo anche alcuni affondi in area Six Sigma (per la cronaca).

Poi è arrivata la crisi (2008). Non so se sia stato un caso o meno (la seconda, direi), ma la WCM come la Lean hanno cominciato a diffondersi. Ho visto interi distretti applicare la WCM, come se le Aziende ivi comprese si contagiassero a vicenda - per fortuna, un contagio positivo. Ho visto inoltre un vero e proprio battage pubblicitario a favore della Lean, e le Aziende avvicinarsi progressivamente, attratte dai risultati che si possono ottenere e forse anche un po' per spirito di imitazione. Ho visto anche chiamare 'Lean' cose che con la Lean c'entravano poco, ed erano piuttosto assunti di base imprescindibili - da cui però ci si era tenuti alla larga fino a quel momento. In sostanza, in qualche modo, c'era nell'aria un fermento positivo.

Adesso, il battage è realmente esasperato. Dappertutto. E la reazione del mercato non è mancata.
Ci sono Aziende (spesso di grandi dimensioni) che si sono create il loro sistema di ispirazione giapponese e hanno dato via ai propri XPS, dove 'X' è l'iniziale del loro nome (es.SPS - Sandra Production System). Investono in personale e progetti, qualcuna con un certo mal di pancia nell'armonizzare le istanze della qualità con quelle della Lean - come se fossero due cose diverse - e mantenendo responsabilità separate; ma di fatto iniziando un percorso virtuoso.
D'altra parte anche le Università hanno iniziato a sfornare ingegneri gestionali che studiano la Lean sui banchi, e magari poi ci fanno sopra una bella tesi di laurea con stage: il mercato dovrebbe ricercarli, ed essere pronto ad assorbirli.
E invece la domanda di tali figure non è poi così alta come ci si dovrebbe aspettare. Perchè restano diverse le Aziende 'tradizionali', tendenzialmente medio piccole (ma non mancano le medio grandi), per le quali la Lean e tutte le altre tecniche sono a distanze siderali. Per motivi di mere contingenze, mentalità, approccio del Cliente stesso; cultura di base del contesto in cui si muovono al momento o dell'imprenditore; issues finanziarie. Per queste Aziende, hai voglia di sventolare certi nomi altisonanti, acronimi succosi: la vita aziendale è rimasta a molti anni fa. E i casi sono due: o  funzionano benissimo così (il loro mercato ne è soddisfatto), o sono destinate a rivedere i propri piani interni ed è solo questione di tempo. Le valutazioni sono da fare caso per caso. I posteri vedranno.

Come sarà il futuro? Il mio sentire è che il futuro va verso l'esasperazione dell'ottimizzazione. E che con il termine 'ottimizzazione' si intendano sostanzialmente due concetti:

  • il concetto 'sano': ottimizzare l'organizzazione, e di conseguenza i costi. Nel più puro spirito Lean: persone motivate, processi efficienti anche grazie alle persone (nonchè ai macchinari, tenuti come 'le cose sante' - diceva un medico del lavoro che ho conosciuto), gestione della produzione in modo da limitare la minimo le scorte pur servendo il cliente 'nel coscio' o con 'il boccon del prete' (come volete), ma davvero - e quindi concentrazione sull'eliminazione dei MUDA overproduction, inventory, transportation, attualmente un po' più trascurati degli altri nella pratica Lean 
  • il concetto 'insano' o distorto: ottimizzare i costi, l'organizzazione si vedrà. Nel più puro spirito anti-Lean e anche anti-logica che tanto piace, però, ad alcune persone poco lungimiranti. In questo senso, l'oggi davvero è già il domani, le basi sono gettate abbondantemente. Si tratterebbe, intanto, di tagliare il personale, senza tanto stare a considerare quale lavoro svolgeva, senza distinguere fra quello eliminabile (NAV) e quello non eliminabile (AV). Senza alcuna considerazione preventiva riguardo la necessità o meno di re-ingegnerizzare i processi sui quali il taglio impatta, e magari tagliando anche attività AV (giuro che ho visto anche questo!); l'importante è il costo, che deve essere basso (e se magari il prodotto finale non viene un granchè, ci si penserà con calma). Poi, si tratterebbe di prendere alcuni volenterosi - o no, non importa - e far fare a loro, oltre a quello già assegnato, anche il lavoro che deriva dall'eliminazione dei loro colleghi, e zitti. Si tratta di un approccio spacciato come 'urgente', o dell'ultim'ora, in qualche modo contingente e temporaneo, che però viene perpetrato nel tempo diventando di tipo permanente; i costi bassi sono necessari e piacciono, inutile nascondersi dietro un dito, e se una cosa funziona, la si tiene in piedi!

Per questo secondo scenario, mi scuso sin da ora per l'arditezza. Purtroppo, avendo vari anni di lavoro alle spalle, credo di averne viste di tutti i colori, nel mio piccolo. E quindi, pur facendo mere previsioni che per definizione sono congetture, parlo con cognizione di causa. Spero soltanto che le Aziende che seguiranno questa seconda strada siano sempre di meno. Nel senso che auspico un'inversione di rotta da parte di molte di loro. A beneficio di tutti noi.

** UN PAIO DI NOTE in merito all'interscambio cultural-industriale italogiapponese di cui sopra, secondo la testimonianza dirette che raccolsi:
- un tizio giapponese, innamoratosi dell'Italia, al momento di rientrare si diede alla macchia. Fu tuttavia scovato e rimpatriato con il foglio di via. Pare che non fu mai più reintegrato nei ranghi.Pare anche che all'origine del gesto ci fosse la passione per il modo in cui noi cuciniamo il pesce (su questo, personalmente non giurerei)
- mi fu raccontato del Karaoke,  in tempi ben precedenti a quelli in cui iniziò a far furore anche da noi. I colleghi ne erano esterrefatti. La pratica si svolgeva in locali frequentati solo da uomini in cui si andava a cantare dopo il lavoro. Che si commuovevano con il canto. In particolare, pare che in platea scorsero lacrime quando 'O sole mio' fu intonata (in italiano) da uno dei miei colleghi, peraltro non particolarmente dotato. Mi viene in mente per associazione un concerto di Renato Zero cui partecipai moltissimi anni fa, ben prima dell' interscambio cultural-industriale di cui sopra: accanto a me, due giapponesi di mezza età, che pur non capendo una parola piangevano come vitelli.
- mi fu raccontato anche del Pachinko, una sorta di gioco d'azzardo basato sull'accumulo di sferette di acciaio, che da noi non mi risulta abbia mai fatto particolari faville. Tranquilli, al momento sono in buona e ve ne risparmio i dettagli...:))


venerdì 6 settembre 2013

TPS, d'accordo... ma del Giappone non parliamo?







Se lo ignorassimo,sarebbe come affermare che il Giappone non ha niente a che fare con il TPS. E invece ne e' padre, sostanza, substrato e culla. Toyota - o Toyoda - e' un nome giapponese e altrimenti non potrebbe essere.
Ho trascorso una serata interessantissima, ad ascoltare chi ne sa molto piu' di me in materia. Un signore italiano che del Giappone ha sposato una figlia e interiorizzato i modi. La voce mai veemente o aspra, i contenuti ricchi ma semplici.
L'occasione? Il 'Management By Cleaning', ovvero il 'Gestir Pulendo' (una mia libera traduzione). Da quella serata, rifletto sulla somma dei valori e dei comportamenti che fanno la cultura di un popolo - il nostro, quello giapponese. Cosi' diversi, almeno per quanto puo' sembrare a me che non sono un'esperta, nonostante i molti cartoni di Mimì Ayuara o Capitan Harlock che ho visto in passato (nessuno è perfetto).

Riflessioni a voce alta:
1) Parlando di ordine e pulizia in officina  (magari meccanica, dove ci sono trucioli e grasso), quanto naturale potrà sembrare agli operatori la richiesta di provvedere di persona? Mettiamo che gli operatori siano uomini, e non proprio giovanissimi: a molti, a casa, dopo cena càpita di piazzarsi sul divano, ed e' la compagna a sparecchiare e fare i piatti - sono cose da donne. Mi scuso per la generalizzazione, so bene che non deve fare di ogni erba un fascio: ma il  punto e' culturale. La nostra cultura storicamente assegna alla pulizia categorie di persone ben precise: operatori del settore al lavoro, donne nel privato; le cose stanno cambiando, ma non troppo velocemente
1bis) un episodio a cui ho assistito di persona. Macchina del caffè aziendale: ad un signore cade il bicchierino con ancora del caffè dentro. Il pavimento si sporca, il signore impreca e poi si allontana; il bicchierino e il contenuto restano a terra. Alcuni secondi di silenzio. Dal gruppetto che si trovava in pausa, nei pressi, si alza la voce di una signora: 'Ma insomma, con tante donne... togliamolo da terra, no?' e si china. Immediatamente altre due colleghe impugnano carta e quant'altro, rimuovono caffè e bicchierino. Il commento era per le donne (me compresa) che non si prodigavano, e non per colui che, maleducatamente, aveva versato e non rimediato. Il tratto culturale è evidente.
2) Da studentessa, mi davo da fare con lavoretti. Una delle mie esperienze fu in una pizzeria, in cui trascorrevo i sabati e anche le domeniche; dapprima, oltre al resto, mi spolmonavo a pulire i pavimenti con il mocho, poi mi accorsi che i colleghi il pavimento giusto lo bagnavano, e mi adeguai. E che cavolo - mi dissi - devo essere io l'unica? Mea culpa, nostra culpa. Ma si tratta di un atteggiamento simile a quanto si vede talvolta verso la fine del turno, quando l'ora sta per arrivare; i dieci minuti assegnati per pulire potrebbero tradursi in un girare a vuoto con la ramazza in mano, un colpo qui e un colpo la', in attesa dello scatto della lancetta per schizzare via.
3) Cambiamo latitudine e continente, andiamocene in Giappone. Il suddetto Gestir Pulendo coinvolge tutti quanti. Mica solo gli operatori: dal presidente fino all'ultimo assunto, manager, venditori, impiegati, tutti insieme convergono a pulire macchine, impianti, uffici, e chi piu' ne ha piu' ne metta. La prima mezzora, la mattina, si passa cosi'. E intanto si crea spirito di team, si diventa compagni di squadra. Si cambia in tal modo il personale aziendale (in meglio), l'impresa e persino la Società. Si hanno - pare - anche altri numerosi vantaggi, pero' non e' questo che voglio sottolineare adesso. Mi interessa sottolineare due degli elementi culturali che rendono questo possibile.
PRIMO: il valore dell' umilta'. Il signore di cui sopra afferma che in Giappone chi si mette in mostra non e' assolutamente ben visto, e non fara' carriera (per esempio). E di umiltà, nel Gestir Pulendo, ce ne vuole. E' una cultura improntata all'umiltà quella che induce un manager a rimboccarsi le maniche e mettersi a strofinare dadi, bulloni, superfici, cuscinetti.
SECONDO:il valore del rispetto. Il manager pulisce fianco a fianco con l'operatore, e facendolo collabora, interagisce con lui da pari a pari. E' il compito comune che mette sullo stesso piano, in modo naturale.
4) Pensando al Gestir Pulendo alle nostre latitudini, osservo la scarsa diffusione dei due elementi culturali di umiltà e rispetto (nel senso di cui sopra), e mi chiedo in quale modo possiamo approdare a processi e risultati simili. Per gradi? Forse sì. Noi, nel migliore dei casi, abbiamo pratica del 5S (**): il sistematico coinvolgimento di tutti che caratterizza il Gestir Pulendo richiede un (grandissimo) passo in più, ma con il 5S un primo gradino su cui poggiare tuttavia esiste. Occorre pensare a come evolvere da lì, e già che ci siamo, a come garantire un doveroso Sustain del 5S stesso (perchè è lì che cadiamo noi, alle nostre latitudini, se non prestiamo la necessaria attenzione).
Insomma, di strada da fare ne abbiamo.
Ma il punto, ancora una volta, non è tanto nello specifico ambito del Management By Cleaning, o nel TPS: è nella cultura che li sostiene e di cui sono figli. La nostra è diversissima. Hai voglia di importare i tools gestionali e tecnici specifici che hanno fatto successo nell'industria e nel mondo giapponese: non è (solo) così che otterremo risultati paragonabili, ci vuole l'humus adatto. Vogliamo, per esempio, parlare del famosissimo Manager-Coach, raramente avvistato nei nostri mari?

Concludo affidando ai posteri un link di approfondimento, perche' sia dato a Cesare quel che e' di Cesare, e le fonti siano chiare: il signore in questione è il Dr.Rosario Manisera (vedere Maema S.a.s. di Manisera & C., e andare sul sito  http://www.fujikai.it).

(**) Con l'occasione, ho scoperto una nuova sesta S del 5S (che diventa 6S). La sesta che conoscevo io, era la S del Safety (e mi cospargo il capo di cenere: la Safety è naturale conseguenza del 5S, non serve una S a sottolinearla); la nuova e' quella del Saho, che significa buone maniere. Perche' il 5S sempre li' torna, anche lui, dove stanno il Gestir Pulendo e il TPS: al valore del rispetto. E alla cultura di cui è parte.

martedì 3 settembre 2013

Settembre, andiamo... è tempo di migrare

Settembre è arrivato, chi era tornato a casa per le vacanze se ne è migrato indietro, chi le vacanze non ha avuto modo di farle ha continuato a migrare, o a non migrare, come sempre, come tutti i giorni. 
Con Settembre, rapidamente riprendiamo il corso del lavoro rimasto sospeso per una salutare, giusta pausa di riposo. E di  nuovo ci guardiamo intorno.
Io mi fermo ad osservare cosa gira per il web. Che cosa ha fermentato nella mente dei miei colleghi e contatti con il caldo che ha fatto in Agosto. E vedo:
- ricerche di lavoro, ricerche di lavoro, ricerche di lavoro (molte: nulla di nuovo)
- offerte di lavoro (poche, circostanziate, caute:nulla di nuovo)
- paradigmi dati per assodati riguardo il fatto che uomini e donne hanno meccanismi diversi (la donna è portata ad essere 'multitasking', l'uomo no, si afferma)
- paradigmi dati per assodati riguardo il fatto che quanto sopra dipenda da cause fisiche (lobi del cervello, estensione di certe aree critiche demandate)
- altre amenità che talvolta fanno ridere e spesso inducono a tristi riflessioni

Per oggi, e per questo mio primo post, più o meno la finisco qui. 
Ma fate attenzione ai due bullet points riguardanti uomini e donne: nei giorni prossimi potrei utilizzare la statistica per dire la mia in proposito. Una piccola digressione scientifica. 
Forse.

Nel frattempo, buon lavoro a tutti (anche a me stessa).
SZ