sabato 14 settembre 2013

Io, l'Italia e la Lean

Storia di lunga data, la nostra. In Italia io ci sono nata, la Lean no. Ma il mio contatto con lei è in qualche modo antico.
Ho in mano alcuni testi sacri che possiedo da lunga data (1991): 'Kaizen' di Masaaki Imai, e 'La macchina che ha cambiato il mondo' di Womack, Jones, Roos. E anche, sorprendentemente, 'TMM-Total Manufacturing Management' di Giorgio Merli (ed.1987, italianissimo). A distanza di così tanti anni, mi stupisco rileggendoli; ma non dovrei. Ne entrai in possesso quando ero troppo giovane, e troppo fuori contesto, per capirli o apprezzarli. Già, perchè contengono intera la summa del pensiero Giapponese, ideato o iniziato da Taiichi Ohno; ed è tutto quanto c'è da sapere, tecnicismi a parte. Noto che la prefazione della Macchina è a cura di Giovanni Agnelli, mentre quella del Kaizen è di Alberto Galgano; quella del TMM è di Ryuji Fukjuda della Japan Management Association.
E rifletto.
L'Azienda in cui al momento lavoravo aveva deciso di mettere in atto progetti Kaizen e io, come alcuni altri, ero stata scelta per contribuire al cambiamento. Probabilmente le vacche erano grasse, e complice l'esposizione prolungata alla cultura giapponese (dovuta a un progetto di interscambio cultural- industriale concluso con successo**) , un'onda entusiastica aveva investito il Management spingendolo ad osare oltre il nido delle aquile. Operativamente, avevano dedicato un giovane ingegnere (come me), detto Kaizen lui stesso, a seguire e garantire il processo. Che si dava da fare. Ricordo un gran raccogliere dati, e un gran analizzare. Ricordo meno quali furono i risultati di tutto quel gran lavoro; ma probabilmente è la memoria che mi fa difetto. Scusatemi.

Se tralascio tutte le efferatezze che ho visto compiere nel tempo ai danni della Qualità Automotive (le cui basi sono lì, di matrice giapponese), nonchè il convergere silente dell'organizzazione della produzione verso logiche Lean (es.implementazione celle), posso dire che l'esperienza con il Kaizen/Lean di cui sopra è restato per me un fatto isolato fino alla seconda metà degli anni '00 del 2000. Quando ho avuto la ventura (la fortuna) di entrarvi a stretto contatto.
L'Azienda per la quale lavoravo era straniera, decise un programma a tutto tondo in cui anche i Plant italiani erano coinvolti. L'input veniva dalla casa madre, no way to escape, e visto che ci eri dentro fino al collo, conveniva vedere di trovarci il lato positivo, che a ben guardare, c'era eccome.
Credo che in quel periodo,come nel mio caso, la maggior parte delle Aziende italiane che iniziarono ad applicare le Lean appartenessero a Gruppi stranieri. In Italia, ancora di Lean si parlava poco. A parte il Gruppo Fiat-Chrysler, che riprese il WCM e lo fece proprio, riguardo il quale  ricordo anche alcuni affondi in area Six Sigma (per la cronaca).

Poi è arrivata la crisi (2008). Non so se sia stato un caso o meno (la seconda, direi), ma la WCM come la Lean hanno cominciato a diffondersi. Ho visto interi distretti applicare la WCM, come se le Aziende ivi comprese si contagiassero a vicenda - per fortuna, un contagio positivo. Ho visto inoltre un vero e proprio battage pubblicitario a favore della Lean, e le Aziende avvicinarsi progressivamente, attratte dai risultati che si possono ottenere e forse anche un po' per spirito di imitazione. Ho visto anche chiamare 'Lean' cose che con la Lean c'entravano poco, ed erano piuttosto assunti di base imprescindibili - da cui però ci si era tenuti alla larga fino a quel momento. In sostanza, in qualche modo, c'era nell'aria un fermento positivo.

Adesso, il battage è realmente esasperato. Dappertutto. E la reazione del mercato non è mancata.
Ci sono Aziende (spesso di grandi dimensioni) che si sono create il loro sistema di ispirazione giapponese e hanno dato via ai propri XPS, dove 'X' è l'iniziale del loro nome (es.SPS - Sandra Production System). Investono in personale e progetti, qualcuna con un certo mal di pancia nell'armonizzare le istanze della qualità con quelle della Lean - come se fossero due cose diverse - e mantenendo responsabilità separate; ma di fatto iniziando un percorso virtuoso.
D'altra parte anche le Università hanno iniziato a sfornare ingegneri gestionali che studiano la Lean sui banchi, e magari poi ci fanno sopra una bella tesi di laurea con stage: il mercato dovrebbe ricercarli, ed essere pronto ad assorbirli.
E invece la domanda di tali figure non è poi così alta come ci si dovrebbe aspettare. Perchè restano diverse le Aziende 'tradizionali', tendenzialmente medio piccole (ma non mancano le medio grandi), per le quali la Lean e tutte le altre tecniche sono a distanze siderali. Per motivi di mere contingenze, mentalità, approccio del Cliente stesso; cultura di base del contesto in cui si muovono al momento o dell'imprenditore; issues finanziarie. Per queste Aziende, hai voglia di sventolare certi nomi altisonanti, acronimi succosi: la vita aziendale è rimasta a molti anni fa. E i casi sono due: o  funzionano benissimo così (il loro mercato ne è soddisfatto), o sono destinate a rivedere i propri piani interni ed è solo questione di tempo. Le valutazioni sono da fare caso per caso. I posteri vedranno.

Come sarà il futuro? Il mio sentire è che il futuro va verso l'esasperazione dell'ottimizzazione. E che con il termine 'ottimizzazione' si intendano sostanzialmente due concetti:

  • il concetto 'sano': ottimizzare l'organizzazione, e di conseguenza i costi. Nel più puro spirito Lean: persone motivate, processi efficienti anche grazie alle persone (nonchè ai macchinari, tenuti come 'le cose sante' - diceva un medico del lavoro che ho conosciuto), gestione della produzione in modo da limitare la minimo le scorte pur servendo il cliente 'nel coscio' o con 'il boccon del prete' (come volete), ma davvero - e quindi concentrazione sull'eliminazione dei MUDA overproduction, inventory, transportation, attualmente un po' più trascurati degli altri nella pratica Lean 
  • il concetto 'insano' o distorto: ottimizzare i costi, l'organizzazione si vedrà. Nel più puro spirito anti-Lean e anche anti-logica che tanto piace, però, ad alcune persone poco lungimiranti. In questo senso, l'oggi davvero è già il domani, le basi sono gettate abbondantemente. Si tratterebbe, intanto, di tagliare il personale, senza tanto stare a considerare quale lavoro svolgeva, senza distinguere fra quello eliminabile (NAV) e quello non eliminabile (AV). Senza alcuna considerazione preventiva riguardo la necessità o meno di re-ingegnerizzare i processi sui quali il taglio impatta, e magari tagliando anche attività AV (giuro che ho visto anche questo!); l'importante è il costo, che deve essere basso (e se magari il prodotto finale non viene un granchè, ci si penserà con calma). Poi, si tratterebbe di prendere alcuni volenterosi - o no, non importa - e far fare a loro, oltre a quello già assegnato, anche il lavoro che deriva dall'eliminazione dei loro colleghi, e zitti. Si tratta di un approccio spacciato come 'urgente', o dell'ultim'ora, in qualche modo contingente e temporaneo, che però viene perpetrato nel tempo diventando di tipo permanente; i costi bassi sono necessari e piacciono, inutile nascondersi dietro un dito, e se una cosa funziona, la si tiene in piedi!

Per questo secondo scenario, mi scuso sin da ora per l'arditezza. Purtroppo, avendo vari anni di lavoro alle spalle, credo di averne viste di tutti i colori, nel mio piccolo. E quindi, pur facendo mere previsioni che per definizione sono congetture, parlo con cognizione di causa. Spero soltanto che le Aziende che seguiranno questa seconda strada siano sempre di meno. Nel senso che auspico un'inversione di rotta da parte di molte di loro. A beneficio di tutti noi.

** UN PAIO DI NOTE in merito all'interscambio cultural-industriale italogiapponese di cui sopra, secondo la testimonianza dirette che raccolsi:
- un tizio giapponese, innamoratosi dell'Italia, al momento di rientrare si diede alla macchia. Fu tuttavia scovato e rimpatriato con il foglio di via. Pare che non fu mai più reintegrato nei ranghi.Pare anche che all'origine del gesto ci fosse la passione per il modo in cui noi cuciniamo il pesce (su questo, personalmente non giurerei)
- mi fu raccontato del Karaoke,  in tempi ben precedenti a quelli in cui iniziò a far furore anche da noi. I colleghi ne erano esterrefatti. La pratica si svolgeva in locali frequentati solo da uomini in cui si andava a cantare dopo il lavoro. Che si commuovevano con il canto. In particolare, pare che in platea scorsero lacrime quando 'O sole mio' fu intonata (in italiano) da uno dei miei colleghi, peraltro non particolarmente dotato. Mi viene in mente per associazione un concerto di Renato Zero cui partecipai moltissimi anni fa, ben prima dell' interscambio cultural-industriale di cui sopra: accanto a me, due giapponesi di mezza età, che pur non capendo una parola piangevano come vitelli.
- mi fu raccontato anche del Pachinko, una sorta di gioco d'azzardo basato sull'accumulo di sferette di acciaio, che da noi non mi risulta abbia mai fatto particolari faville. Tranquilli, al momento sono in buona e ve ne risparmio i dettagli...:))


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