martedì 29 luglio 2014

Storia di H..


 ..ma non di Adele H (ricordate il bel film di Truffaut? Adèle Hugo, proprio lei: la figlia del grande Victor. Con una bravissima Isabelle Adjani)



H è una mia grande amica.
Che ha una storia personale del tutto diversa dalla mia. E una diversa natura.
Ma questo non c'entra con la nostra amicizia. Che è basata su un reale affetto e dura da anni.


H lavora in una certa organizzazione X,e ne è insoddisfatta da sempre. Sospettando di essere mobbizzata, nel tempo ha cercato di difendersi - a suo modo, e se ne potrebbe parlare:ma non è questa la sede. Così facendo, probabilmente ha peggiorato la situazione; o l'ha peggiorata chi non si è dato pena di ascoltarla,di capire.
Di fatto isuoi rapporti con il resto dell'azienda non sono idilliaci. Anche adesso, una contro tutti.

H non ha mai considerato l'eventualità di cercare altro,di sottrarsi cioè ad una situazione che sente pesante, a tratti insostenibile.Probabilmente l'ha presa dall'inzio come una sfida personale da cui uscire,se non da vincitrice,da non sconfitta.

Ora più che mai, per la situazione contingente che tutti noi conosciamo, sta dove sta; e continua ad esserne insoddisfatta.

In realtà, nel tempo il tasso di conflittualità si è smorzato: la sua vita lavorativa quotidiana non è più la battaglia continua di qualche tempo fa - entrambi i contendenti (lei e il resto dell'azienda) hanno deposto le armi pesanti. Ogni tanto qualche scaramuccia, e finisce lì.
 

Ma H non ha idea di come sia il mondo lavorativo esterno a quello suo, cricoscritto, dal quale è stata così impegnata a difendersi. La rabbia per i soprusi subiti - veri o presunti che fossero - l'ha assorbita talmente che le sono sfuggiti i rivolgimenti degli ultimi anni.
Letteralmente.
Per quanto abbia cercato di parlargliene a più riprese, non sono riuscita ad ottenere la sua attenzione. Lo scopo da parte mia è sempre stato in qualche modo 'nobile': indurla a considerare razionalmente le proprie vicende, offrirle un'angolazione diversa da cui considerare la situazione. Non l'ho raggiunto, lo ammetto. Anche se non ho gettato mai la spugna.



Era - è - come quando si affronta l'argomento fame nel mondo. O malattie, carestia, Darfur. Normalmente la gente ascolta, almeno per qualche minuto; poi gli occhi cominciano a vagare intorno ed è chiaro che la misura si è colmata. Anche le foto e i filmati drammatici che ci propinano i media, in realtà, hanno ben scarso effetto, al di là del pugno dello stomaco iniziale: si cambia canale, o si gira pagina, o si cerca un'altra stazione radio. Quella sofferenza ci è talmente lontana, ed è così estranea alla nostra esperienza personale diretta, che non ci arriva; o ci arriva in misura insufficiente. 



Non a caso ci colpisce di più - eccome - il fatto che un aereo cada, scompaia, esploda, abbattuto o meno che sia dai ribelli: la circostanza è più vicina al nostro mondo opulento - o ex tale. Tutti noi sull'aereo ci siamo stati, qualche volta; o ci è stato qualcuno che conosciamo. Possiamo metterci nei panni di chi ci era sopra, o di chi lo aspettava all'aereoporto. Sentire sulla pelle la loro paura.


Comunque, riguardo H c'è da rilevare un fatto non da poco. Che è la sua fortuna, in questo momento;e probabilmente, la ragione vera per cui non ha mai pensato di andarsene da lì. Nonostante tutti i problemi e i conflitti di cui sopra, nonostante tutte le prese di posizione che ha deciso e di cui è stata fatta oggetto, il suo posto di lavoro non è mai stato, nè in forse, nè in bilico.
Ecco perchè - mi dico - le mie parole sono sempre cadute nel vuoto. Le manca l'esperienza diretta, e sulla pelle, H non sente alcuna paura. Si sente al sicuro.


Poi, però,la mannaia ha colpito suo fratello.
Una brava persona, preparata e seria. Da un giorno all'altro, contratto di solidarietà, riduzione orario lavorativo e riduzione stipendio. Speranza che possa risollevarsi la situazione molta, certezze in tal senso pochissime, quasi zero.
Solo la sicurezza di un anno e poco più di supporto; poi, si vedrà.


Allora H si è svegliata.
E parla di ingiustizia.
Come darle torto: certamente suo fratello - lo conosco bene - non meritava un tale trattamento. Ma neppure lo meritavano i suoi colleghi.
Perchè il punto non è il merito: quando un'azienda è in crisi, il conto arriva a tutti. C'è poco da recriminare: piuttosto, passata la mazzata, c'è da organizzarsi. Da tirarsi su le maniche, e in fretta.

A lei questo messaggio non arriva: continua a puntare il dito contro il tale e il tal-altro. Dovevano fare così, dovevano decidere cosà.
La sua necessità, mi sembra, è quella di trovare un colpevole.
Come se fosse facile individuarlo, e punirlo. Come se, una volta punitolo, tutto tornasse come prima; neppure fossimo in un film americano dei bei tempi andati, dove il male a fine pellicola subiva sempre, e il bene trionfava, con tanto di arretrati corrisposti.


La questione, qui ed ora, non è esattamente così. Punire i colpevoli sarebbe bello. Più bello ancora sarebbe determinare i motivi del fallimento imprenditoriale e debellarli per sempre.
Forse un giorno qualcuno ci riuscirà; forse un giorno si avranno le idee chiare in merito a questa e a tante altre questioni-chiave (etiche, pubbliche, private, sostanziali), e potremo dire 'Davvero, guardate: quello che è successo è stato frutto di X, Y, Z; lo hanno causato A,B, e C; grazie a K, H, W non non potrà mai più accadere'.
Ma quel giorno è lontano, se mai verrà; e nel frattempo c'è da andare avanti.


La buona notizia è che il fratello di H è un tipo pratico.
Si sta dando da fare per superare il momento. E' concentrato sul proprio futuro, ha ben in testa la serenità della propria famiglia.
Al settimo cielo certo non è, inutile raccontare il contrario; ma si sta rimboccando le maniche.
'Qui a guardare un giorno via l'altro' mi ha detto 'davvero non ci sto'.
E ha tutto il mio plauso, la mia solidarietà, il mio appoggio.


sabato 12 luglio 2014

Progettare il prodotto (e il processo produttivo)


Caldo l'argomento, al netto delle considerazioni sul valore che il prodotto deve (e sottolineo deve) rappresentare per il Cliente.
Caldo se non altro perchè fuori, invece, fa un certo freddino, e più che Agosto, sembra che alle porte ci sia Novembre.
Comunque.



Il prodotto è da progettare insieme al processo con cui verrà realizzato. Nell'Automotive si parla di 'simultaneous engineering', altrove, per esempio nel mondo Six Sigma, di 'concurrent engineering'. Poco cambia, il concetto è quello.

Sembra banale: ma non lo è.
Nella tradizione classica, prima si progetta il prodotto, e poi lo si va a produrre. C'è una logica: come faccio a realizzare un prodotto che non so com'è? Devo averlo presente, e nel dettaglio, prima di mettermi a pensare come realizzarlo. Quindi:
1. progetto il prodotto
2. penso a come produrlo (lo industrializzo)
3. lo vado a produrre.
Tre attività in serie (logica). Sequenza tipica del lavorare a compartimenti stagni.

Riflettiamoci: 
il Titanic era considerato pressochè inaffondabile, perchè il suo scafo era suddiviso in 16 compartimenti stagni. 



Quando chi deve progettare il prodotto ha fatto il proprio lavoro, nel buio della propria cameretta,  ha esaurito il compito. La palla passa ad un altro, ovvero a chi deve metterlo in produzione e pensare a come farlo: l'industrializzatore.


 Il quale deve darsi da fare, e in fretta, per metter su un processo che ne sputi fuori una certa quantità al giorno, o per turno; e ben fatti, ovviamente. Compito che può risultare arduo: il prodotto è congelato, non ci si torna su. Il processo per realizzarlo dove 'piegarsi' a questa realtà: è lui che si adatta. Per forza.



Con il simultaneous engineering (o concurrent che dir si voglia), la prospettiva cambia.
Chi nella tradizione classica progettava il prodotto, ancora e chiamato a farlo: non è che da questo passo si possa prescindere. Ma non lo fa più nel buio della propria cameretta: lo fa all'interno di un Team interfunzionale.



Il punto non è da poco: nel progettare il prodotto, ascolta e recepisce le istanze degli altri membri del Team. Prime fra tutti, quelle dell'industrializzatore. In sostanza, si attua un passaggio virtuoso: tra le possibili soluzioni progettuali, viene scelta quella che meglio soddisfa, sia il Cliente, sia la necessità di realizzare il prodotto 'agevolmente', ovvero senza errori, in tempi ottimizzati e in ambiente sicuro per gli operatori.

Al di là delle tecniche preventive e gestionali specifiche che si adottano per ottenere questo obiettivo, resta il fatto fondamentale che il prodotto nasce già adatto al processo, e che il processo si modella sin da subito sul prodotto da fabbricare. Si parla, in sostanza, di DFMA (Design For Manufacturing & Assembly).



Tra processo e prodotto si ha uno scambio osmotico: l'uno si adatta all'altro, con una logica win-win. L'approccio peraltro non tralascia neppure le istanze dei Fornitori coinvolti: anche loro, nella persona del Buyer, sono rappresentati nel Team interfunzionale; anche il loro DFX, per quanto possibile, viene considerato e curato.


Anche i tempi di sviluppo ne beneficiano: non si tratta più di fare attività in serie, ma di lavorare in parallelo. Si minimizza, o azzera, la necessità di modifiche di prodotto post-lancio in serie
Si è più efficienti, quindi, oltre che più efficaci.
Perchè l'obiettivo è uno solo, e condiviso dal Team: che il prodotto esca nei tempi richiesti, e 'buono'. Adesso meno che mai è tempo di lotte di quartiere.
Essendo tempo, piuttosto, di fare grandissimi balzi in avanti.