lunedì 27 ottobre 2014

Un boccone per strada


Chi mi conosce lo sa: sono sempre in auto.
Infatti mi chiamavano "la donna con le ruote".
Mi sposto per andare dove il lavoro chiama. Per lo più in autostrada. Le Aziende, con le loro unità produttive, hanno il brutto vizio di impiantarsi in periferia, e non in centro, proprio sulla via della struscio. Per cui ti serve l'auto, non c'è altro modo.
Questo, per chi ogni tanto mi dice: 'ma è tanto più comodo il treno'.
Mi capita di aver voglia di un boccone, di tanto in tanto. Anch'io, vegetariana, pur con i miei crismi poco autogrillabili, ho fame all'ora di cena. O di pranzo. E quindi mi fermo. Mi sgranchisco e mi servo al self-service, al banco pizza, al bar, al frigo dei gelati.
E mangiando osservo.

I camionisti, per esempio. Con le loro docce riservate. D'estate, con gli asciugamani sulla spalla e in mano la trousse da cui spunta il pettine a denti radi, a vagare in zona bagni. Magari con gli zoccoli ai piedi. Profumano di bagnoschiuma fresco fresco, i capelli ancora umidi. E hanno gli occhi segnati.


Oppure i giovanotti trendy. Se ne vedevano di più, qualche anno fa: un effetto della crisi, io credo. Camicia rigorosamente azzurra, d'inverno con il cappotto serio sulla giacca sciankrata, e se è giorno occhiali da sole all'ultimo grido. Impazienti, al limite dell'arroganza: il mondo li aspetta, il mondo è urgente. Hanno un appuntamento da qualche parte, un ufficio - magari commerciale - in cui fare bella figura, con un ruolo di qualche tipo che è, o forse vedono (sognano), significativo, di lustro.
Ho notato che molti di loro, alla ripartenza, tendono a sgommare.
E poi gli addetti del locale ristorante, a volte giovanissimi, a volte quasi anziani, tanto che uno si chiede che cosa li ha portati lì, a quella scelta; e poi evita di darsi risposte. Mi capitano, a notte fonda, ben oltre la mezzanotte, oscuri ristoranti di periferia, in autostrada, in cui sono presenti solo donne, magari giovanissime; a volte, con la protettiva presenza di una pattuglia della Stradale che si ferma per un caffè. Ma la Stradale non c'è spesso, nei ristoranti dell'autostrada: hanno altro da fare, a parte l'eccezione di un caffè notturno. A dispetto delle multe che tentano di propinarmi, che, parafrasando Battiato, 'per mia natura attiro', pattugliare le strade è un lavoraccio che non lascia molto tempo per gli svaghi.
E neppure per le pene d'amore: perchè di questo mi è parso che si trattasse, la settimana scorsa, quando ho incrociato lo sguardo implorante di un giovanissimo poliziotto verso una avvenente ma sdegnosa barista.
E poi i fatti strani.
Una volta, verso Pescara, venni stanata dal bagno da un secondino dal tono imperioso. E poi fatta uscire di fretta, insieme a un altro paio di tizi, sul piazzale antistante. Me ne ero andata protestando vivacemente; ma le parole mi morirono in bocca, quando vidi uscire dall'alto cellulare blu un uomo in manette, tenuto saldamente da entrambi i lati. Mi colpirono lo sguardo beffardo e il suo sorrisetto; e poi, ovviamente, il gesto decisamente osceno che la sua lingua decise di rivolgermi.



Qualche sera fa, seduta a un tavolo del self-service, ho ascoltato la conversazione di un uomo maturo e stanco con due ragazzi ridanciani e baldanzosi, di cui uno pure rasta. Tutti camionisti. Un amico dei due, non presente al tavolo, aveva appena superato un colloquio: quindi avrebbe fatto la spola con l'Olanda. Guidando, come loro. I ragazzi si davano le gomitate: che fortuna. Le belle ragazze bionde, la roba, la maria. L'avventura.
"Ma mica per sempre" dicevano "per qualche anno; poi smette".
"Si dice sempre così" ribatteva il terzo, quello stanco "poi non si smette; guardate me"
"Ma no, lui smette: l'ha detto. E comunque, va a stare meglio, no? Avrà uno stipendio, tutti i mesi"
L'uomo improvvisamente ha alzato la voce: "Ma si resta soli, capito? Con questo mestiere si resta soli! Specialmente se si guida all'estero"
Si è gelato mezzo Autogrill. Un tizio lì vicino si è fermato con la forchetta a mezz'aria.
Io ho annuito fra me e me. E mi sono alzata per depositare il vassoio.
Perchè nel mio piccolo, so di cosa quell'uomo stanco stava parlando.

Recentemente, poi, mi sono fermata per una cenetta di quelle che sono un  piatto veloce e via. E' più la noia di chiedere fattura (per pochi Euro) che altro. Ma le signore che stanno alla cassa del self-service ci sono abituate: tu paghi, e loro ti consegnano il foglietto del conto con i dati per la fattura in bianco. Dopo tornerai a darglielo compilato pre bene, ma calma e tranquilla, quando avrai finito di mangiare: e allora sarà fattura vera. La signora alla cassa, però, ha fatto un danno, quella volta; o come sosteneva lei, il danno l'ha fatto il dispositivo cassa automatico. Fatto sta che tra il cassetto da chiudere/non chiudere, e l'inchiostro che non si leggeva, e le dita irritate che schiacciavano un tasto e poi annullavano, si era fatta la coda. Tralasciando le mie patate arrosto che freddavano.
Insomma, è intervenuto il responsabile, un tipo con la camicia cifrata e stirata, e non con la T-shirt da Autogrill che hanno gli addetti normali. La signora si è beccata uno shampoo non da poco, nella pubblica piazza. Cercava anche di ribattere, ma ogni eccezione riceveva la sua secca risposta. Un contrappunto ineccepibile. Imbarazzante, e sempre a sfavore della signora.
Al tavolo, le patate ormai fredde (che mi sono comunque mangiata), mi sono detta: qui no, per un periodo qui non ci torno.



E infine una certa stazione ("la fermata", come la chiamo io) sulla A13, direzione Padova. Ci capito spesso la mattina presto, molto presto. E ci trovo un puzzo colossale, insopportabile. Normalmente, confinato al di fuori del locale ristoro; qualche settimana fa invece, penetrato pure dentro. Allora non ho resistito, e ho chiesto. Le addette non hanno saputo, o voluto, darmi una risposta.
Un tizio invece mi ha fornito la sua, ed era un cliente, come me: "Ho pensato, più volte, che fosse un camion dei rifiuti parcheggiato fuori. Magari mal pulito. Oppure cotto dal sole, dal caldo. Mi sbagliavo. E' una fabbrica chimica, qui dietro. Lo sanno tutti".
Sono rimasta così, imbambolata; e l'ora non c'entrava. Un puzzo del genere non è regolare in nessun caso, men che meno se davvero proviene da una fabbrica. La faccenda mi ha turbato non poco, e ho deciso di scriverne.
Però poi, Giovedì scorso (stessa sosta e identico orario), magicamente il puzzo non c'era.
Non so perchè, non so cosa sia successo.
Ma spero che non si tratti di un caso e che il problema, in qualche modo, sia definitivamente scomparso. Avrà giovato farsi sentire?

mercoledì 8 ottobre 2014

Dorothy Perkins? No, Dorothy Project

 Chi non conosce Dorothy Perkins?
Io.
O meglio, non lo conoscevo: adesso invece sì, per uno sbaglio, per puro caso. Ho scoperto che trattasi di un brand di oltre cento anni di vita (e salute) dedicato alla moda femminile.
Ho dato un'occhiata ai modelli: niente male, direi.
E' possibile che qualcosa mi sia persa, frequentando altri.
Chissà che non sia il caso di recuperare.
 
Comunque.
Lo spunto mi è propizio per parlare di Dorothy Project.
Che non è un brand, ma un Progetto Europeo.
Ne voglio parlare, perchè è una di quelle cose belle e interessanti di cui nessuno mai fa parola. Si tende a tenerla fra addetti ai lavori.
Ed è male: dovrebbe avere maggiore visibilità.
I cittadini europei dovrebbero sapere che c'è chi lavora per loro, seppure in silenzio.
Dorothy è un acronimo derivato dalla definizione stessa del Progetto, che in lingua suona così: 'Development Of RegiOnal clusTers for researcH and implementation of environmental friendlY urban logistics'.
Nella nostra bella lingua italiana, ciò significa: 'Sviluppo di Cluster regionali per la ricerca e applicazione di una logistica urbana amica dell'Ambiente'.

Devo dire che mi piace questo fatto, di prendere una lettera qui e una lettera là, e farci un nome da ricordare con facilità. Mica le iniziali, che son buoni tutti: delle lettere nel mezzo. Così il nome viene fuori in modo creativo.
Invece di 'Dorothy' poteva venire fuori VOGUE, tanto per restare in tema di moda.
Ed è solo un esempio.

In sostanza, mentre il mondo Europeo continua le proprie lotte politiche e di sopravvivenza, mentre la crisi morde e i cittadini europei, bene o male, tra malumori e gioie e cose di tutti i giorni in fondo alla giornata ci arrivano, un gruppo lavora per il miglioramento della qualità della loro vita.
Focalizzandosi ad uno dei suoi aspetti più importanti: quello della logistica. Urbana, per di più. Cioè, ai "trasporti nelle città"; con tutto il carico che questa espressione implica, a dispetto della sua brevità e semplicità.


Il progetto è teso a sviluppare il potenziale di innovazione e ricerca in questo settore. Partendo dall'analisi dello stato dell'arte in merito alle soluzioni logistiche delle città, ha l'obiettivo di definire delle Linee Guida comuni da adottare come standard Europei, e di creare soluzioni innovative, efficienti e sostenibili.
 



Un Consorzio, composto dall'Italia (Toscana), dalla Romania (Oltenia), dalla Spagna (Regione di Valencia), dal Portogallo (Lisbona e valle del Tago), è al lavoro. Partecipano, in ogni regione, sia Pubbliche Amministrazioni che imprese. Il coordinamento è ad opera della Fondazione per la Ricerca e l'Innovazione, Università di Firenze.

Io vi sono entrata in contatto grazie alla collaborazione con l'Università di Firenze, appunto. Ed è stato un incontro molto interessante. In genere non ho bisogno di motivazioni particolari per fare quello che devo: conosco il valore del lavoro, e il sapore buono che resta in bocca dopo una giornata produttiva.
Ma lavorare in questo ambito, per me, significa ricevere un 'plus' etico.
Che non ha prezzo.
Che volete, per certi versi sono ancora un'inguaribile romantica, a dispetto di anni e anni nei gangli delle officine, tra urli e scioperi, fiducia e inganni, incidenti e performance da star, promesse mantenute e mancate. E luuunghe (o brevi) pause caffè alla macchinetta automatica dietro al magazzino.
 

E se Dorothy Project è una perla da scoprire, altre perle, di respiro ancora maggiore e portata quasi epocale, ancora restano oscure al cittadino indaffarato, o ignavo (come direbbe Dante), o distratto, o semplicemente poco informato.
Alzi la mano chi sa che cosa è H2020, o che cosa vuol dire "smart city". Ma bene però: non ci bastano due parole in croce.
Giorni fa, ho intercettato un programma su RAI Scuola che ne parlava.
Full Stop. Per il resto, vuoto all'orizzonte.
Sarà che poco guardo la TV; sarà che anch'io, sempre in giro per la strada, su, in Veneto, in Emilia, in Friuli, me ne perdo parecchie. Ma era la prima volta che assistevo a una versione divulgativa dei fatti.
Come se quello che bolle in pentola non riguardasse tutti noi, grandi e piccoli.
Come se H2020 e la 'smart city' non fosse di nostro interesse.
E perbacco..