Creare, gestire, rinforzare i Call Center, i Customer Care Center e tutto il resto, costa un sacco di
soldi. E qual è l’obiettivo? Gestire (= cucinare)
i Clienti Insoddisfatti, placarli ed arginarli. Quando? Quando scoppiano, quando
hanno le balle girate e sono al limite. Quando vedono rosso.
Non è un po’ tardi?
E se è tardi, che ritorno avremo mai da questo
investimento?
Nel best case il ROI è legato al 4% dei casi
recuperati. Fate voi i conti, ognuno farà i propri. Se siamo fortunati e
l'investimento rende al top, ci perdiamo SOLTANTO il 96% dei Clienti, il 4% lo
salviamo in extremis.
Nel worst case, ovvero nel caso non
siamo fortunati e l'investimento non renda affatto, il 4% dei Clienti che
protestano sono andati per sempre. Quindi, ce li perdiamo tutti quanti, i
Clienti. Al 100%.
La
differenza tra best case e worst case vale 4%: è bene continuare a farlo
notare.
Il plus nel
quale speriamo investendo nel Customer Care è questo.
Magrino. E
caro però.
C’è qualcosa che non torna.
Vale la pena fare attenzione. E guardare le cose in modo diverso.
Innanzitutto,
svegliamoci. Sia 4 che 96 sono PERCENTUALI.
Il valore numerico corrispondente cambia a seconda del numero al quale sono applicate. Per
esempio:
- il 4% di
100 è 4 mentre il 4% di 10,000 è 400
- il 96% di
100 è 96 mentre il 96% di 10,000 è 9,600
Se i Clienti
contestano 100 prodotti, è una cosa; se invece contestano 10,000 prodotti è
un'altra.
Quindi:
lavoriamo sulla riduzione del
numero dei prodotti
contestati, miglioriamoli dal punto di vista della progettazione, del processo;
facciamo un restyling mirato che dia
al mercato l’immagine di novità e freschezza. E liberiamoci dei pesi morti.
Sì, pesi morti. Lo sottoscrivo. Se
è vero come è vero che adesso il paradigma 80/20 (*) è superato, se è vero
quindi che i prodotti hanno la
coda lunga (le spicciolate sono
importanti), teniamo ben presenti i rischi a cui andiamo incontro con i centesimi di Euro che
popolano il fine-coda. La legge 96%-4% non perdona neppure loro. I fine-coda
tendono ad essere prodotti su cui non si investe in manutenzione, restyling,
upgrade. Se ne vendono pochi, non conviene. Ma possono essere numericamente pesanti:
tante spine nel fianco, tanti fattori di disturbo che amplificano la legge
96%-4%. Quindi: consideriamo attentamente i prodotti ormai vecchi a
cui ci siamo affezionati perchè ci fanno un pochino di fatturato in più: la coda estrema. Facciamone
un'analisi critica: tecnica e commerciale. E se del caso, prendiamo il coraggio
a due mani: eliminiamoli. Pensando però, fattivamente, a
sostituirli con altro che rimpiazzi, e possibilmente superi, il fatturato
perduto. Manteniamo lo sguardo puntato in
avanti.
Poi:
cominciamo a ragionare sui problemi che ci vengono segnalati dal mercato. Dai
bravi, coscienziosi e un po' bonaccioni 4% (come me). Ci vuole un atto di
fiducia: dire sì, ha contestato solo il 4%, ma il 4% è un campione
significativo di quanto il mercato pensa dei nostri prodotti. Quindi, le
sue indicazioni hanno valore. Sono una base di lavoro.
E da lì, lancia
in resta, avanti a tutta birra, guidati dalla volontà di rimetterci in
carreggiata, o di restarci ben saldi, vento in poppa. Con le priorità corrette, seguendo la logica di
Pareto(*), aggrediamo i best
sellers. Nella cui identificazione però – attenzione! - è sano evidenziare
i volumi di vendita a fianco dei fatturati realizzati: c'è l'effetto virale della difettosità da considerare, oltre
agli aspetti economici e al margine. Non trascuriamo questi dati, il rischio è
il peccato di leggerezza: non centrare il punto focale.
Nel migliorare
i nostri prodotti, o nel farne di nuovi di pacca, stiamo ben attenti alla
flessibilità che richiede il mercato. Alla necessità
di personalizzazione che il
Cliente spesso mostra. E prepariamoci in modo da servirlo nel coscio.
Ma non attorcigliamoci in processi ingestibili: puntiamo sulla modularità. Ben studiata, può
consentire un alto tasso di personalizzazione senza che ciò implichi
riprogettazioni ad hoc e rivoluzioni
continue in produzione. Facciamo sì che le reali necessità di progettazione ex-novo
'estemporanee' siano ridotte al minimo; anticipiamole, se possibile,
mantenendo costantemente occhi e orecchie aperti, e sviluppando un’aderenza
empatica verso il Cliente. Guidiamole, invece di rimanerne in qualche modo
vittime; gestiamole noi.
A tal
proposito, cito il caso dello scooter Django, lanciato
sul mercato dalla Peugeot a sfidare la Vespa.
Guardatelo, come è carino, con questa estetica retrò: e non crediate che lo dica senza
dolore, visto il mio amore antico per la Vespa (che ho ceduto da poco) e i miei
anni passati a lavorare in Piaggio.
Quindi: va bene il Customer Care. Se il
4% protesta, qualcuno che lo ascolti ci deve essere. Ma attenzione a non
dedicare tutti gli sforzi economici nella costruzione di un Customer Care
potente, dirottandovi risorse che si dovrebbero dedicare alla risoluzione dei problemi progettuali ed operativi. Si può
incorrere nell'errore di considerare il Customer Care come una panacea: la probabilità che si
cada vittima di questa illusione è tanto maggiore quanto minore è il senso di
coesione degli attori aziendali, ovvero tanto meno a sé ciascuno di loro è
avvezzo a pensare.
E qui
torniamo a uno dei miti dei tempi nostri: il
Team. Sì, proprio lui. Perchè è quello il luogo mentale - spesso ideale - in
cui si converge verso un obiettivo che è la salute, il benessere dell'Azienda,
e non il successo personale. Non si tratta di perseguire l’ideale Francescano
dell’annullamento dell’individuo a favore del prossimo: si tratta di tararsi su
una finalità pratica, sociale – e vera però: il
benessere della comunità aziendale, dipendente dal fatto che l’Azienda
sanamente faccia utili e sanamente prosperi, e altrettanto sanamente investa, rispettando e valorizzando i propri dipendenti per il modo in cui collaborano al suo
successo (e fra di loro). Nel Team ognuno fa la propria parte: il valore dell’individuo non viene sminuito,
ma piuttosto evidenziato. Nella sua qualità più notevole: la capacità di dare il meglio per la comunità in cui è inserito (in
questo caso, l’Azienda) ai fini della propria e altrui serenità. Ricordiamoci
che lavorare è una parte del vivere, peraltro non temporalmente secondaria:
richiede civiltà, consapevolezza e senso della comunità proprio in quanto tale. Tutto il resto, è altro. Che ciascuno catalogherà come vuole.

NB: il disegno del dinosauro verde è stato estratto da un'interessante brochure ricevuta dal Kaizen Institute Italia
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