domenica 5 gennaio 2014

Sofia,ma quanto mi costi? Nota a margine (per i coraggiosi)

Creare, gestire, rinforzare i Call Center, i Customer Care Center e tutto il resto, costa un sacco di soldi. E qual è l’obiettivo? Gestire (= cucinare) i Clienti Insoddisfatti, placarli ed arginarli. Quando? Quando scoppiano, quando hanno le balle girate e sono al limite. Quando vedono rosso.
Non è un po’ tardi?
E se è tardi, che ritorno avremo mai da questo investimento?
Nel best case il ROI è legato al 4% dei casi recuperati. Fate voi i conti, ognuno farà i propri. Se siamo fortunati e l'investimento rende al top, ci perdiamo SOLTANTO il 96% dei Clienti, il 4% lo salviamo in extremis.
Nel worst case, ovvero nel caso non siamo fortunati e l'investimento non renda affatto, il 4% dei Clienti che protestano sono andati per sempre. Quindi, ce li perdiamo tutti quanti, i Clienti. Al 100%.
La differenza tra best case e worst case vale 4%: è bene continuare a farlo notare.
Il plus nel quale speriamo investendo nel Customer Care è questo.
Magrino. E caro però. 

C’è qualcosa che non torna.
Vale la pena fare attenzione. E guardare le cose in modo diverso.

Innanzitutto, svegliamoci. Sia 4 che 96 sono PERCENTUALI. Il valore numerico corrispondente cambia a seconda del numero al quale sono applicate. Per esempio:
- il 4% di 100 è 4 mentre il 4% di 10,000 è 400
- il 96% di 100 è 96 mentre il 96% di 10,000 è 9,600
Se i Clienti contestano 100 prodotti, è una cosa; se invece contestano 10,000 prodotti è un'altra.
Quindi: lavoriamo sulla riduzione del numero dei prodotti contestati, miglioriamoli dal punto di vista della progettazione, del processo; facciamo un restyling mirato che dia al mercato l’immagine di novità e freschezza. E liberiamoci dei pesi morti.
Pesi morti? ORRORE! 
Sì, pesi morti. Lo sottoscrivo. Se è vero come è vero che adesso il paradigma 80/20 (*) è superato, se è vero quindi che i prodotti hanno la coda lunga (le spicciolate sono importanti), teniamo ben presenti i rischi a cui andiamo incontro con i centesimi di Euro che popolano il fine-coda. La legge 96%-4% non perdona neppure loro. I fine-coda tendono ad essere prodotti su cui non si investe in manutenzione, restyling, upgrade. Se ne vendono pochi, non conviene. Ma possono essere numericamente pesanti: tante spine nel fianco, tanti fattori di disturbo che amplificano la legge 96%-4%. Quindi: consideriamo attentamente i prodotti ormai vecchi a cui ci siamo affezionati perchè ci fanno un pochino di fatturato in più: la coda estrema. Facciamone un'analisi critica: tecnica e commerciale. E se del caso, prendiamo il coraggio a due mani: eliminiamoli. Pensando però, fattivamente, a sostituirli con altro che rimpiazzi, e possibilmente superi, il fatturato perduto. Manteniamo lo sguardo puntato in avanti.

Poi: cominciamo a ragionare sui problemi che ci vengono segnalati dal mercato. Dai bravi, coscienziosi e un po' bonaccioni 4% (come me). Ci vuole un atto di fiducia: dire sì, ha contestato solo il 4%, ma il 4% è un campione significativo di quanto il mercato pensa dei nostri prodotti. Quindi, le sue indicazioni hanno valore. Sono una base di lavoro.
E da lì, lancia in resta, avanti a tutta birra, guidati dalla volontà di rimetterci in carreggiata, o di restarci ben saldi, vento in poppa. Con le priorità corrette, seguendo la logica di Pareto(*), aggrediamo i best sellers. Nella cui identificazione però – attenzione! - è sano evidenziare i volumi di vendita a fianco dei fatturati realizzati: c'è l'effetto virale della difettosità da considerare, oltre agli aspetti economici e al margine. Non trascuriamo questi dati, il rischio è il peccato di leggerezza: non centrare il punto focale.

Nel migliorare i nostri prodotti, o nel farne di nuovi di pacca, stiamo ben attenti alla flessibilità che richiede il mercato. Alla necessità di personalizzazione che il Cliente spesso mostra. E prepariamoci in modo da servirlo nel coscio. Ma non attorcigliamoci in processi ingestibili: puntiamo sulla modularità. Ben studiata, può consentire un alto tasso di personalizzazione senza che ciò implichi riprogettazioni ad hoc e rivoluzioni continue in produzione. Facciamo sì che le reali necessità di progettazione ex-novo 'estemporanee' siano ridotte al minimo; anticipiamole, se possibile, mantenendo costantemente occhi e orecchie aperti, e sviluppando un’aderenza empatica verso il Cliente. Guidiamole, invece di rimanerne in qualche modo vittime; gestiamole noi.
A tal proposito, cito il caso dello scooter Django, lanciato sul mercato dalla Peugeot a sfidare la Vespa.
Guardatelo, come è carino, con questa estetica retrò: e non crediate che lo dica senza dolore, visto il mio amore antico per la Vespa (che ho ceduto da poco) e i miei anni passati a lavorare in Piaggio. Tra le tante cose, mi ha colpito l’altissima possibilità di da parte del cliente: tramite il configuratore Django ID, che permette di personalizzare e di fare fabbricare il proprio Django su misura (à la carte) da PC, la scelta è di fatto tra 178mila versioni diverse. Non credo sia un caso isolato, ma certo è un caso notevole. Sapendo per esperienza personale quanto la complessità del prodotto e delle sue versioni sia un vincolo, una sfida, e potenzialmente una tragedia per chi progetta e per chi produce, la questione mi incuriosisce. Offrire una tale varietà senza soccombere, senza rincorrere in affanno un Cliente-chimera che non è mai soddisfatto (perchè non arrivi quando lo vuole lui ma dopo, con calma; oppure perchè ci arrivi male, in scivolata, e gli fai in realtà un mezzo servizio), non è affatto cosa da poco. C’è da prendere nota e studiare.

Quindi: va bene il Customer Care. Se il 4% protesta, qualcuno che lo ascolti ci deve essere. Ma attenzione a non dedicare tutti gli sforzi economici nella costruzione di un Customer Care potente, dirottandovi risorse che si dovrebbero dedicare alla risoluzione dei problemi progettuali ed operativi. Si può incorrere nell'errore di considerare il Customer Care come una panacea: la probabilità che si cada vittima di questa illusione è tanto maggiore quanto minore è il senso di coesione degli attori aziendali, ovvero tanto meno a sé ciascuno di loro è avvezzo a pensare.
E qui torniamo a uno dei miti dei tempi nostri: il Team. Sì, proprio lui. Perchè è quello il luogo mentale - spesso ideale - in cui si converge verso un obiettivo che è la salute, il benessere dell'Azienda, e non il successo personale. Non si tratta di perseguire l’ideale Francescano dell’annullamento dell’individuo a favore del prossimo: si tratta di tararsi su una finalità pratica, sociale – e vera però: il benessere della comunità aziendale, dipendente dal fatto che l’Azienda sanamente faccia utili e sanamente prosperi, e altrettanto sanamente investa, rispettando e valorizzando i propri dipendenti per il modo in cui collaborano al suo successo (e fra di loro). Nel Team ognuno fa la propria parte: il valore dell’individuo non viene sminuito, ma piuttosto evidenziato. Nella sua qualità più notevole: la capacità di dare il meglio per la comunità in cui è inserito (in questo caso, l’Azienda) ai fini della propria e altrui serenità. Ricordiamoci che lavorare è una parte del vivere, peraltro non temporalmente secondaria: richiede civiltà, consapevolezza e senso della comunità proprio in quanto tale. Tutto il resto, è altro. Che ciascuno catalogherà come vuole.


 (*) il paradigma 80/20 recita così: "l'80% del fatturato si fa con il 20% dei prodotti". Ne esistono le più diverse varianti, nelle quali le parole ‘fatturato’ e ‘prodotti’ sono sostituite ad hoc, al fine di esprimere altre situazioni (es. “spesa d’acquisto – Fornitori”, oppure “problemi di qualità – cause”): il concetto non cambia. Pochi elementi (i cosiddetti vital-few) determinano, influenzano un certo fenomeno, questa è la tesi: se si capisce quali, facilmente si può ottenere che il fenomeno viri nella direzione che desideriamo puntando su di loro.
Se ne fa largo uso nella Statistica applicata ai grandi numeri, e nei più vari campi. Fu sviluppato da Vilfredo Pareto, un'eccellenza italiana dell'8-900, ed ha avuto un'enorme diffusione. Anche grazie alla ciliegina sulla torta che ci mise Mr.Juran, con il quale i "Quality Pratictioners" certo sono di casa: il cosiddetto "Diagramma di Pareto", un tipo particolare di istogramma, in cui le barre sono ordinate in maniera decrescente, proprio a segnalare i suddetti ‘vital-few’.

NB: il disegno del dinosauro verde è stato estratto da un'interessante brochure ricevuta dal Kaizen Institute Italia

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