venerdì 4 ottobre 2013

Reti,relazioni,contatti (e relative distorsioni)


E' un'epoca social, la nostra, in cui la rete, i contatti contano moltissimo.
Per capire, per condividere informazioni, per restare con il naso allerta e annusare il nuovo che avanza, o come dicono gli Psicologi, lo zeitgeist (lo spirito del tempo) che inizia a manifestarsi. Per scovare opportunità di business, per fare affari.
In fondo, le tendenze vanno cavalcate - ad ognuno la propria,la più conveniente, la migliore -  ed è sempre stato così; la novità è che oggi abbiamo gli strumenti per anticiparle, e anche per modellarle (chi ci riesce, almeno: i top influencers). Come si fa a non approfittarne?

Qualcuno obietta che non ha tempo.E capisco, perchè il tempo è sempre tiranno. Bisogna ricavarselo, costa. Io stessa soffro di questo problema.
Ed è l'unica giustificazione che comprendo. A patto che non diventi una scusa per restare chiusi nel proprio guscio. Ricordiamoci che socializzare è anche vitale, interessante, ottimistico. Empatico.

Quello che non capisco, invece, è come si fa a lanciare il sasso e ritirare la mano. A chi, a cosa serva.
E arrivo al punto.
Ho avuto uno scambio con un mio contatto LinkedIn. Anzi: la persona in questione mi ha approcciato per chiedermi un favore, e nel contempo il link. Come mi abbia scelto, non lo so; do per scontato che un criterio l'abbia seguito. Comunque, mi riteneva in linea con le proprie necessità, evidentemente.
Pur non conoscendolo, ho acconsentito alla richiesta di supporto. Mi sono informata di cosa avesse bisogno, ho dato la mia disponibilità ad approfondire. Per puro spirito di networking, gli ho proposto di conoscerci di persona, visto che la sua è una zona in cui mi trovo spesso ad operare e a frequentare. La persona stessa mi aveva proposto di chiamarla al telefono fornendomi un numero: mi era sembrato un ulteriore passo logico e certo non avevo intenzione di incastrarla in una riunione fiume, si sarebbe trattato di un breve incontro conoscitivo e giusto quando avrei avuto occasione ancora di passare di là.
Bene: a fronte di tale proposta, e di un tentativo (abortito) di telefonata a quello stesso numero che mi era stato indicato, la persona in questione si è clamorosamente ritirata, dicendo che non ha alcun interesse nell'incontrarmi, nè nell'approfondire in generale. Gli interessava che rispondessi alla sua richiesta di supporto e basta, ha dichiarato. In totale contraddizione con quanto aveva comunicato, volente o nolente, a partire da quel numero di telefono, da me non richiesto.

Spero non ci sia bisogno di sottolinearlo, ma onde sfrondare preventivamente ogni dubbio, chiarisco che il mio era un gesto soltanto professionale,sono ben lungi dall'andare in giro ad adescare o circuire persone con la scusa del lavoro. E che diamine.
Gliel'ho anche esplicitamente sottolineato, a costo di sembrare pedante. Sulla mia integrità e serietà non transigo.

Per cui non ho capito com'è che il sasso sia stato lanciato: la mano, come dire.. è sparita.
Mentre il sasso è rimasto in mano a me.
Io ho proceduto con quanto mi si richiedeva - non grande cosa, in realtà - per coerenza. E per serietà.
Mi sono detta: il problema è suo. E ne sono convinta.

Ma l'episodio mi richiama qualcosa del passato, e mi invita a riflettere.
Qualche anno fa, percorrevo a piedi una strada del centro storico. Era buio, i lampioni illuminavano poco. Camminavo sul marciapiedi. Avevo appena voltato l'angolo quando vidi  una moto che procedeva velocemente e rumorosamente verso di me; anzi, vidi il suo grosso fanale, che mi abbagliò. Fu questione di un attimo: di lì a poco, la moto precipitò a terra con grande sferragliare. Aveva fatto tutto da sola.
Essendo buio, la strada era deserta. Il conducente non si rialzava e quindi mi precipitai lì per soccorrerlo; gli chiesi se andava tutto bene,gli offrii il mio aiuto. Per tutta risposta, questi si tolse il casco, mi puntò gli occhi in faccia e disse: "Sei stata tu!". E cominciò a gridarlo: "Sei stata tu! Sei stata tu!". Stava benissimo, evidentemente.
Io, rimasta inizialmente interdetta, cominciai a rispondere, ma lui si era alzato in piedi, la sua voce era alterata e rischiava di soverchiare la mia. Cominciava ad accorrere gente. Per fortuna un signore prese la mia difesa e in un attimo mi scagionò. Per fortuna. Altrimenti, in assenza di testimoni, non so che avremmo fatto, magari mi sarebbe capitato come a quel tale amico di amici che, precipitatosi a soccorrere, la mattina presto, un'auto precipitata in un canale, si è trovato in tribunale accusato di essere colui che ce l'aveva fatta finire dentro. Una storia che si trascina da anni.

L'esperienza con la moto ha una forte analogia concettuale con quella del sasso e della mano di cui sopra. In ambedue, infatti, la mia azione aveva una finalità di aiuto e supporto (positiva), mentre la reazione da parte dell'altro è stata negativa, di incomprensione (sasso & mano) o di attacco (moto).
In sostanza: ho offerto positività e ottenuto negatività.
Verrebbe dunque da dirsi: se l'esperienza insegna, basta offrire positività. Basta dare disponibilità. Stop.
Invece no, non bisogna dire basta. A parte le potenziali accuse di omissione di soccorso, certo non mi tirerò indietro la prossima volta che vedrò qualcuno a terra; nè mancherò di rispondere alle richieste di supporto professionale, anche se vengono da persone che non conosco de visu, e specialmente se non sono particolarmente impegnative. Ovviamente per quanto posso e se sensate.

P.S.: in una giornata come questa, di lutto nazionale per i gravi fatti di Lampedusa e dintorni, forse il finale mi è venuto un po' drammatico. Apologise.

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