lunedì 8 settembre 2014

Forza, torniamo alle cose serie..


 Capisco che ci sia di meglio da fare, in questo scorcio di fine estate:
  • leggere un giallo leggero e fresco di Malvaldi (toscanissimo), o un noir raffinato di Ben Pastor (magari del ciclo di Martin Bora)
  • andarsene a una bella sagra (di porcini, di formaggio, di pesce appena pescato - un sempreverde)
  • godersi un po' di aria salmastra, forse senza pioggia, magari finalmente in panciolle sulla spiaggia
ma qualcuno lo deve fare, di pensare alle cose serie e tediose che ci aspettano, ora che riprendiamo a pieno ritmo: e questo qualcuno, oggi, sono io. Me la prendo io la patata bollente, me la sento.


QUINDI ADESSO PARLIAMO DI FMEA.
SCUSATE, MA VI TOCCA.
Sarò abbastanza breve, non preoccupatevi. Metto lì qualche concetto: a seminare spunti di riflessione, a strattonarvi e dirvi "ehi, tra poco magari tocca anche a voi scettici, fate mente locale!".
E cioé:

Noi diciamo la FMEA, femminile: perchè finisce per 'A'. Nella nostra lingua, sono rarissime le eccezioni, e ben conosciute (per esempio il nome "Andrea", maschile DOC; che in quanto tale mai ci sogneremmo di  utilizzare al femminile, come invece avviene in Germania, tanto per dirne una).




Perchè la FMEA finisce per 'A'? Perchè noi siamo pigri, o esterofili. Abbiamo preso l'acronimo anglosassone e pari pari lo abbiamo incorporato nella nostra lingua tecnica. Con la stessa disinvoltura abbiamo italianizzato termini inglesi come 'implement' o 'empowerment': l'uno è diventato radice a tutti gli effetti (implementare, implementazione) a dispetto del fatto che esistessero già fior di parole italiane a ricoprire lo stesso concetto (applicazione, realizzazione), l'altro è stato buttato dentro tout-court, senza che si coniasse una parola italiana equivalente, e con disdegno di tutte le perifrasi a disposizione - e sì che ne produciamo di neologismi, quando ci fa comodo. I Francesi, per esempio, hanno fatto diversamente: da loro la FMEA si chiama AMDEC. Non tiriamo fuori, adesso, il fatto che i Francesi siano supponenti o spocchiosi - lo so che in molti non li sopportano, anche se non capisco perchè (c'entrerà la testata di Zidane?): non sono loro le eccezioni, siamo noi. Prendiamo la parola 'computer': da loro si chiama ordinateur e in Spagna ordinador, qui il termine calcolatore è stato abbandonato da mo'. Siamo fatti così.



Perchè la FMEA è tanto poco popolare? Perchè suppone rigore. Perchè richiede impegno, almeno in fase iniziale, quando si parte da zero. I benefici cadono in secondo piano, e dire che sono notevoli: progettare un prodotto qualitativamente 'sicuro', industrializzarlo in modo che risulti conforme in produzione. Spostando il peso del lavoro sulla prevenzione - lo sanno tutti che 'prevenire', fra l'altro, costa di meno che 'curare' (oltre ad essere meglio, come dice il famoso detto).
E poi realizzare la FMEA è meno oneroso, direi quasi semplice, una volta che la si è acquisita come strumento e se ne è inziato un uso coerente, serio, razionale: consente e facilita la standardizzazione della progettazione come dell'industrializzazione, verso le migliori prassi aziendali. 



Come si ottengono i benefici della FMEA? Valutando i rischi, e ponendovi rimedio 'preventivo'. E qui dobbiamo fare i conti con la mentalità nostrana, che a caldo, a buoi scappati dalla stalla, scatena la caccia del colpevole (da trovare a tutti i costi); e poi dimentica. Da noi la prevenzione è poco praticata: poca manutenzione preventiva, per esempio, e molta riparazione a guasto; un giorno poi la macchina si sbraca giù e allora succede il pademonio: soldi da cacciar fuori, clienti che aspettano imbufaliti. Forse sarebbe stato meglio curarsene tutti i giorni un pochino, ascoltando i segnali e i sintomi: nessuna emergenza ci sarebbe stata, dopo,da gestire. Ma la prevenzione costa, e cacciar di tasca soldi che apparentemente non sono giustificati (dov'è il guaio cui riparare? Ancora non c'è!) può sembrare uno spreco - vedi come si ribaltano i concetti, a volte. Altro che Lean!


Quali ambiti tocca la FMEA? Era partita dai cardini industriali, niente affatto in sordina: la Progettazione di Prodotto, e quella del Processo Produttivo, lo abbiamo detto sopra. Poi si è allargata a macchia d'olio: la Macchina, la Supply Chain, e tutta una serie di altri campi di applicazione. Sondando la letteratura scientifica in merito grazie alle attività che ho in corso con l'Università di Udine, ho rilevato una frenetica attività di diversificazione della FMEA, che adesso esplora argomenti impensabili fino a poco fa (come la Lean), e si combina con altre tecniche (come il QFD) alla ricerca di effetti ancora più potenti. Negli ultimi anni, è come se lo strumento fosse stato 'scoperto' dal mondo scientifico; o forse soltanto rivalutato. Ma un analogo processo sta avvenendo, in qualche modo, anche nel mondo industriale. Che però ancora tituba e latita, spaventato, in molti casi, da quanto ho detto sopra: dall'apparente onerosità. D'altra parte, in questi tempi di crisi tutti parlano di rischi, e di gestione del rischio: il collegamento con la FMEA viene naturale, quasi spontaneo. A livello mentale, però: non ancora a livello fattivo, pratico. Nonostante gli standard internazionali, anche loro tirino da quella parte.

Riflettiamo sul significato del termine 'Qualità' per come è correntemente utilizzato. Se 'Qualità' significa 'rispondenza all'uso atteso dal Cliente', un prodotto di qualità è quello che è progettato in modo da rispondere alle esigenze del Cliente e fabbricato sistematicamente come conforme al progetto. In sostanza, la FMEA originaria consente questo a costo minimizzato, e l'esercizio vale la pena, specialmente se le esigenze del Cliente sono ben comprese e incorporate nella stessa analisi FMEA, magari dopo un bello studio QFD (personalmente, lascerei i due strumenti distinti).

Ecco, ho finito. Per oggi.
Me ne vado a fare ciò che devo.
Ma riflettiamoci su, con calma. Una buona FMEA vale davvero la candela.


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